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 2019  luglio 28 Domenica calendario

Che lavoro farebbe oggi Leonardo?

Leonardo era un inventore. È il minimo che si possa dire (il minimo sindacale, se vogliamo), e al tempo stesso il più grande complimento che si possa fare a un essere umano, una volta che si sia chiarita la natura dell’inventare, che nel parlare comune si lega a una versione tecnologica e subalterna della creazione dal nulla. L’inventore, diversamente dal creatore, prende dei pezzi esistenti, assembla, e dà vita a qualcosa di nuovo, sia esso il telefono, il post-it, o il web. In questo senso, l’inventore sarebbe una specie di dio minore, uno scienziato di seconda scelta, un meccanico con un po’ di fantasia. Ma non è così o, meglio, è molto più complicato di così, e la complicazione non è un limite, ma una ricchezza, proprio come nelle volute barocche e negli ornamenti che per tanti anni una modernità che si è voluta ascetica e specialistica ha condannato come residui d’altri tempi.
Dunque, chi è l’inventore? L’inventore, sembrerebbe, trova qualcosa che non c’era prima, in questo esisterebbe la sua differenza rispetto allo scopritore. Colombo ha scoperto l’America, un impiegato della 3M ha inventato il post-it. Ma è davvero così semplice? La differenza tra la scoperta di quello che c’è e l’invenzione di qualcosa che non ha precedenti è più labile di quanto non paia. Basti considerare che nella retorica antica l’invenzione, ciò di cui si tratta, per esempio, nel De Inventione di Cicerone, non consiste nella scoperta di nuove idee, ma nel sapiente recupero di luoghi comuni adatti per l’argomento. Così, ad esempio, di fronte a una ipotetica controversia sulla scoperta dell’America l’oratore potrebbe attingere a un vasto repertorio: ci sono arrivati prima i Vichinghi, lui pensava di essere arrivato in India, e in fin dei conti se l’hanno chiamata “America” e non “Colombia” un motivo ci sarà… L’invenzione è anzitutto inventario, è fare i conti con quello che c’è, con quel che passa il convento e, soprattutto, la biblioteca. Questo è particolarmente evidente nella letteratura. Chi inventasse un romanzo senza precedenti, un racconto che non ha niente in comune con ciò che è stato narrato prima, inventerebbe un romanzo incomprensibile (purtroppo c’è chi ci ha provato, ma per fortuna non ne rimane il nome: nessun capolavoro, fateci caso, è senza padri, madri, nonni e zii). Nella fisica le cose vanno forse altrimenti? Ovvio che no. Il fisico ha due scelte, confermare e sviluppare le teorie che lo hanno preceduto, oppure confutarle. In entrambi i casi, ed è bene che lo ricordino coloro che sostengono che la storia non è una scienza, senza storia non ci sarebbe scienza.
E il nuovo da dove viene? Dal Witz, da qualcosa che ha l’elemento del motto di spirito, del guizzo e del guitto, da un pensiero laterale, da un’idea che ci prende in contropiede. Gli inventori si dividono in due grandi categorie, che possono venire ricondotte a due concetti chiave della tradizione umanistica. Il primo, quello a cui più spontaneamente associamo la nozione di invenzione, è appunto il Witz, il cui corrispondente latino è l’ ingenium, che risuona tanto nell’ingegnoso, quanto nel genio, quanto infine nell’ingegnere. L’ingegno consiste nella capacità di trovare somiglianze tra cose apparentemente differenti. È indubbio che una buona dose di ingegno, di umorismo e di spudoratezza è stata necessaria per capire che dopotutto una radio, un telefono, un archivio fotografico, un portafogli, uno strumento di lotta politica, hanno qualcosa in comune, la memoria – una intuizione da cui deriva la luminosa invenzione dello smartphone. Ma per l’invenzione conta anche (sebbene un po’ di meno) la nozione opposta e complementare, quella di acumen, loScharfsinn, che consiste nella capacità di separare nozioni apparentemente simili. Per molto tempo, facciamoci caso, si è trattato il web come se fosse una variante della televisione, e questo banalmente perché in entrambi i casi c’era uno schermo. Capire che il web non è principalmente uno strumento di comunicazione, ma di registrazione, è quasi altrettanto importante che capire che un telefono può fungere da portafogli.
Oltre alla dialettica tra scoperta del nuovo e inventario del vecchio, così come tra unificazione del diverso e discriminazione del simile, l’invenzione ha un terzo volto che non va mai sottovalutato. Proprio come lo scopritore, spesso l’inventore non lo sa quello che inventa: è ben noto il caso dell’inventore del telefono, che voleva una radio, dell’inventore della radio che voleva un telefono, e dell’inventore del grammofono che aveva elencato una dozzina di usi possibili, nei quali la riproduzione musicale era all’ultimo posto. La felicità non è di questo mondo. Senza contare poi che il vero senso di una invenzione non lo decide l’inventore, ma gli utenti. Con ogni probabilità l’inventore della scrittura (posto che un termine di questo genere abbia un senso, visto che si tratta di un processo che ha preso millenni) pensava a uno strumento di registrazione e di contabilità, mai più avrebbe pensato a usi di telecomunicazione e di tradizionalizzazione. Se è vero che i poemi omerici non hanno un autore ma sono il frutto del genio del popolo greco (che aveva preso a man bassa da antefatti orientali), la scrittura e il suo erede, il web, sono frutto del genio dell’umanità nel suo insieme, nel bene così come nel male (ma anche nei poemi omerici ci sarà stato qualche guastafeste che ha aggiunto versi ridicoli o fuori luogo).
Se ho insistito sul web, è proprio perché si è trattato di un evento tecnologico che ha rimescolato le carte. Probabilmente, se il quinto centenario della morte di Leonardo fosse caduto, poniamo, cinquant’anni fa, più che sullo statuto dell’invenzione avremmo ragionato sulla statura dell’inventore: grand’uomo, ma d’altri tempi. Oggi non è più così, e Leonardo, invece che stare dietro di noi, sta davanti a noi. E non è difficile immaginarselo a postare video su YouTube, progettare arte con l’intelligenza artificiale, sviluppare biotecnologie mettendo a frutto i suoi studi anatomici. Insomma, Leonardo oggi farebbe lo stesso mestiere che ai suoi tempi, e il bello sarebbe probabilmente che troverebbe più facilmente lavoro che ai suoi tempi, senza che nessuno deplori il suo dilettantismo. Siamo noi, piuttosto, a doverci chiedere che mestiere facciamo, in un mondo inavvertitamente diventato leonardesco, e soprattutto che mestieri faranno le generazioni future, e a cercare risposte proprio guardando a Leonardo.