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 2019  luglio 28 Domenica calendario

Cosa ci dice il caso di Bibbiano

Spetterà alla giustizia appurare che cosa è veramente successo in questi ultimi anni nel sistema degli affidi giudiziari a Bibbiano, in Val d’Enza. Per il momento un fatto è certo: che alcune indagini processuali avviate in quella zona in seguito a denunce per presunti abusi sessuali su minori commessi dai loro genitori si sono concluse con un nulla di fatto. Quegli abusi non erano mai esistiti e le accuse – benché suffragate da una lunga serie di perizie, diagnosi e relazioni ad opera di «esperti» – erano in realtà prive di fondamento perché in vario modo manipolate e/o surrettiziamente estorte ai piccoli. I quali, tuttavia, proprio in base ad esse erano stati nel frattempo sottratti ai genitori per essere affidati ad altrettante famiglie a cura di una onlus di Moncalieri, vera regista, a quanto pare, dell’intero meccanismo del falso accertamento dei fatti e dei successivi affidamenti. 
Come dicevo, vastità e responsabilità penali di questa storia le appurerà la giustizia. Sta a tutti noi, invece, capire se al di là del singolo caso giudiziario la vicenda di Bibbiano significhi qualcosa di più profondo. Se essa ad esempio non sia il frutto anche di certe modifiche intervenute nei nostri stessi paradigmi culturali, non sia la spia di cambiamenti profondi accaduti nel nostro modo di sentire e di pensare, e di conseguenza anche in alcuni ambiti della nostra vita sociale. 
S ono convinto che sia così. Nella vicenda di Bibbiano, infatti, non è difficile vedere uno dei tanti effetti di quel grande fenomeno della modernità contemporanea che è una malintesa e indebitamente estesa «psicologizzazione» della vita. Vale a dire la tendenza sempre più forte – per comprendere i comportamenti dei singoli e definire quanto accade in molti ambiti della vita sociale – a ricorrere non già a una spiegazione fondata su una qualche concreta evidenza – ad esempio nel caso dei bambini di Bibbiano l’eventuale difficile condizione economica delle loro famiglie – bensì a ricorrere a un’interpretazione di tipo traumatico-psicologico, evocando per l’appunto l’abuso sessuale. 
A Bibbiano si manifesta poi un altro aspetto della malintesa, eccessiva, psicologizzazione della realtà di cui sto dicendo. Cioè l’inclinazione a trovare se non prove almeno sintomi o spie di un problema psicologico in qualunque comportamento che appena appena si discosti dalla normalità. Alla quale ricerca torna assai utile – e da qui dunque il suo uso smisurato – un termine chiave, «disagio»: che per l’amplissima scala di comportamenti che può coprire, si presta bene ad essere riempito della più varia molteplicità di contenuti, a essere espresso dalla più varia molteplicità di sintomi. 
È degno di nota che all’attenzione verso questi temi si sono sempre più indirizzati anche i «Servizi Sociali», i quali, nati con scopi istituzionali molto più pratici e concreti di monitoraggio e soccorso nei confronti dei bisogni concreti della parte più disagiata della popolazione, hanno ampliato le loro competenze trovando ormai la maggiore ragion d’essere per la loro attività, per l’appunto nella rilevazione del «disagio» e nella sua cura all’insegna di un ovvio utilizzo dell’armamentario psicologico del caso. Il tutto soggiacendo spesso alla tentazione di avallare una costruzione ideologica in cui il concetto di normalità tende a perdere il suo ovvio carattere maggioritario e alla fine svanire nella quasi illimitata moltiplicazione delle patologie. Ciò che del resto sembra corrispondere in pieno a quella tendenza alla «medicalizzazione», invariabilmente sotto l’egida dello Stato assistenziale e dei suoi apparati, che si registra ormai in moltissimi settori della vita individuale e collettiva.
Se comunque il binomio iperpsicologizzazione-disagio ha trovato uno spazio rilevante nel mondo degli adulti, è però nel mondo della scuola che esso sta penetrando e insediandosi in ogni dove, forte del fatto che il «disagio» è ovviamente rintracciabile (o sospettabile…) con maggiore facilità e frequenza nei soggetti giovani o giovanissimi: non è forse proprio quella, del resto, l’età «difficile» per definizione? La nuova organizzazione scolastica italiana è oggi prevalentemente orientata in questa direzione. Essa è stata spinta da una lunga serie di riforme sciagurate a relegare sempre più in secondo piano l’istruzione a vantaggio della «formazione». In questa prospettiva – venendo però in tal modo ad assomigliare alla fine a una sorta di agenzia del Welfare – essa è stata indotta a fare il più largo spazio all’indagine circa ogni loro possibile problema psicologico, familiare, attitudinario, linguistico, comportamentale. Proprio a tal fine è stata definita e sempre più ampliata la sfera dei Bes (Bisogni Educativi Speciali) e la relativa categoria, in grande espansione, degli insegnanti «di sostegno». A suo modo, ed esagerando appena un poco, si può dire che la scuola è così istituzionalmente divenuta una branca e insieme un’interfaccia dei Servizi Sociali.
È per questo, per affiancare tanto i Servizi Sociali che la scuola nella sua nuova azione di supporto psico-assistenziale, che è proliferata una miriade di onlus, ong, associazioni, enti, – ambiguamente collocati tra il pubblico e il privato e ivi prosperati grazie naturalmente al favore della politica – il cui interesse non detto e non dicibile non può meravigliare che sia quello di trovare quanti più possibili casi di «disagio», di maltrattamenti, di abusi, di violenze, di cui farsi carico naturalmente non a titolo gratuito. In perfetta coincidenza, peraltro, con la svolta psico-assistenziale di una scuola nella quale da quando sono stati introdotti i Bes e gli insegnanti di sostegno, i casi di dislessia, di disgrafia, di discalculia, e di ogni altro «disagio» chissà perché non fanno che aumentare a dismisura. 
La vicenda di Bibbiano nasce da questo vasto intreccio di fenomeni e sta qui la sua vera esemplarità, che non è per nulla quella di un caso giudiziario. Essa è lo specchio, deformante quanto si vuole ma pur sempre lo specchio, di una società che, smarriti i suoi antichi criteri di orientamento, si dibatte tra mille contraddizioni per trovarne altri.