il Fatto Quotidiano, 27 luglio 2019
Il caso di Agnese Usai, come quelli di Rignano e di Bibbiano
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I carabinieri le bussano a casa, a Sestu, la vigilia di Natale del 2016. Agnese Usai ha 62 anni e quello è il suo primo Natale da pensionata, dopo 42 anni di lavoro nelle scuole come bidella. Lei, che da giovane era stata bellissima, non si è mai sposata. Come tante donne della sua famiglia ha scelto di dedicare la sua vita al lavoro, e quel lavoro nelle scuole è stato la sua vita. Mai una macchia, mai un problema. Sì, qualche discussione con i colleghi perché Agnese certe volte è un po’ scorbutica, ma è amata e rispettata. “Che ho fatto?”, domanda ai carabinieri che le chiedono di firmare. “Ah, se non lo sa lei…”, le rispondono con un velato sarcasmo. Agnese scopre di essere ufficialmente indagata dalla procura di Cagliari per il reato di violenza sessuale. Da questo momento, quel tratto di penna che unisce in tutta Italia tante storie di accuse false, assurde o zoppicanti di minori e che riconducono con un’impressionante frequenza a Claudio Foti e ai seguaci del suo metodo, arriva anche lì, in Sardegna, e disegna un nuovo intreccio, oltre che il destino di Agnese. Un destino breve, perché la bidella si toglierà la vita due anni dopo gridando la sua innocenza. La storia inizia nel 2014. Agnese lavora da un paio di mesi in una scuola materna frequentata da una bambina di 4 anni che chiameremo Stella. I genitori della piccola, entrambi non giovanissimi e profondamente religiosi, vicini all’ambiente neocatecumenale, hanno notato che Stella ha dei comportamenti strani. Non vuole fare il bagno, ogni tanto fa brutti sogni o bagna il letto. “Fa salti troppo alti per la sua statura” e “Si arrampica sui mobili”, racconterà la mamma ai carabinieri. Stella cerca anche di baciare altri bambini o le mani dei genitori. Vuole lavarsi spesso la patatina. Il 10 novembre la mamma la va a prendere a scuola e la trova bagnata di pipì. La sera, la bambina ammette che non va in bagno perché ha paura dei mostri. “I mostri del cartoncino di signora Agnese”, spiega. E afferma anche che la signora Agnese, in bagno, le accarezza la patatina e le lecca la faccia. Dunque la bambina si farebbe la pipì addosso per non vedere più Agnese che in effetti qualche volta accompagna i bambini in bagno e li aiuta a pulirsi. I due genitori, allarmati, si fanno suggerire dagli amici della parrocchia una psicologa a cui rivolgersi. La psicologa è Elisabetta Illario della Asl di Cagliari, il cui curriculum racconta un profondo e continuativo legame sia nella formazione professionale che in qualità di relatore a incontri del Cismai e di Hansel & Gretel. Il Cismai è l’associazione di cui fanno parte psicologi e assistenti sociali al centro dei casi più contestati, da Massa Finalese a Bibbiano. La dottoressa Illario è anche esperta in terapia Emdr (quella della macchinetta dei ricordi) e il suo nome è su varie locandine di incontri con Claudio Foti, Nadia Bolognini (Angeli e demoni), Federica Anghinolfi (Angeli e Demoni), Andrea Coffari (avvocato di Foti), Pietro Forno (pm del caso Lucanto), Cleopatra D’Ambrosio (caso Sorelli, Brescia). La psicologa Illario ascolta il racconto dei genitori e afferma che i sintomi sono compatibili con un possibile abuso. Senza neanche vedere la bambina. Fa una segnalazione alla procura. Stella non va più a scuola. Nei giorni successivi, a casa, la bimba comincia a sfregarsi la patatina contro i mobili o a toccarsi. Tutto questo accade sempre e solo in loro presenza. Nessuno, né a scuola né altrove, la vedrà mai fare cose simili. Passano mesi, la procura non si muove fino al 2015 La psicologa Illario “a c c om p a gn a” intanto i due genitori e la bimba nel percorso, vedendo Stella senza registrare gli incontri. La bambina aggiunge nuovi particolari: all’epoca ha raccontato alla maestra Tania le molestie di Agnese, la maestra Tania le ha detto: “La spedisco nel sistema solare”ma poi non ha fatto niente. Questa maestra non sarà mai interrogata sulla questione. Stella sembra riprendersi presto, dopo un mese dalla rivelazione inizia già a frequentare una nuova scuola. Tra il 2015 e il 2016 vengono interrogati il preside e alcune maestre. Il preside afferma che non ha mai ricevuto alcuna segnalazione sulla bidella da genitori e personale. La maestra Carla si limita a dire che Stella non ha mai manifestato segnali di disagio. L’altra maestra dice che Stella si era fatta un paio di volte la pipì addosso e che “Agnese era la collaboratrice ideale, qualche bambino era anche dispiaciuto del suo allontanamento”. Agnese intanto è ignara di tutto. Non subisce perquisizioni. Non vengono messe telecamere nell’asi lo (verrà a lungo intercettato il suo telefono solo dopo il 2016, senza alcun esito). La bambina, in seguito, affermerà che Agnese in bagno la riprendeva col cellulare e le faceva fare dei balletti, ma Agnese ha un cellulare vecchio che non fa video e non naviga. Il bagno è 1 metro e 50 di larghezza, difficile anche muoversi. L’incidente probatorio nel 2017 e quella consulente... L’incidente probatorio inizia due anni e mezzo dopo i fatti. E qui subentra un personaggio interessante. La psicologa consulente di parte della famiglia di Stella è Cleopatra D’Ambrosio, già citata perchè relatrice a vari incontri con la psicologa Illario, colei che ha raccolto la denuncia dei genitori di Stella, e che è nel direttivo di “Rompere il silenzio”, associazione di Claudio Foti. Ma c’è di più. Cleopatra D’Ambrosio entrò in contatto con alcuni genitori del famoso caso Sorelli a Brescia, organizzando incontri per aiutare le mamme dell’asilo. Nel 2003 un prete, sei maestre e un bidello furono accusati di pedofilia ai danni di 23 bambini. La D’Ambrosio ai tempi fornì libricini tipo “fumetti” ai genitori con indicazioni su come interrogare i bambini. Durante il processo, spuntarono fuori questi libretti, l’avvocato della difesa chiese al consulente del pm Marco Lagazzi: “È corretto dire che consegnare questi libretti in mano ai genitori è come chiedere a un genitore ‘ti consegno un bisturi, fai tu l’operazione di app en di c it e? ’”. Il consulente rispose: “Questo non è un bisturi, è una sega elettrica”. Il nome della D’Ambrosio nei verbali di quel processo compare 600 volte. Prete, maestre e bidello furono tutti assolti. Cleopatra D’A mbrosio è anche quella che afferma: “È comprovato scientificamente. Un trauma non elaborato può essere trasmesso nel DNA fino a 14 generazioni”. In pratica, un bambino potrebbe soffrire per un abuso subito da un suo trisavolo, a sentir lei. Dopo il disastro dell’asilo Sorelli, la D’Ambrosio arriva anche qui. Nella materna di Sestu. Viene chiamata addirittura da Brescia, visto il curriculum. Durante l’incontro della consulente del giudice Patrizia Cuccu con la bimba, la D’Ambrosio fa entrare nella stanza – dove solo lei poteva assistere – anche i genitori di Stella. C’è un’accesa discussione. La D’Ambro – sio afferma: “Sono stata io a farli entrare, non capisco perché non debbano essere autorizzati a guardare dal vetr o”. Nella confusione il papà di Stella urla: “Hanno stuprato mia figlia!”. Cosa che Stella potrebbe aver udito. L’esito della perizia è che ci sono segnali di “invischiamento”, che la bambina presenta disagio e non particolari sintomi post-traumatici, ma comunque, i segnali dell’abuso sono stati rivelati dalla bambina alla psicologa Illario e ai genitori. Insomma, la psicologa crede alla psicologa. La D’Ambrosio, nella sua consulenza, evidenzia che il trauma perdura anni (non erano secoli?), che se alla consulente del giudice Stella è parsa senza particolari segni post-traumatici è perché ci vuole l’ascolto empatico da parte degli adulti. E quindi cita i suoi riferimenti nel campo: Claudio Foti, Pietro Forno (pm titolare dell’inchiesta nel caso Lucanto, ricostruito nella fiction con la Ferilli), il Cismai. Tante chiacchiere: di una prova non c’è traccia I genitori non hanno mai portato Stella dal ginecologo per appurare se ci sia stata deflorazione, e questo nonostante nell’agosto del 2016, quando ormai la bambina usufruisce dell’ascolto empatico della psicologa Illario da due anni, il fratellino Sandro corra dalla mamma dicendo: “Stella ha provato a infilarmi un dito nel cule tto!”. La bimba dirà che l’ha fatto perchè si annoiava, cambiando versione più volte, finché col linguaggio tipico di una bambina affermerà: “Ero gelosa di Sandro perché a lui Agnese non ha fatto male, avevo una grande tristezza dentro che pensavo andasse via toccando il culetto a lui, ma invece è aumentata”. Insomma, nel 2016, dopo due anni dalla denuncia, le accuse diventano più gravi, la memoria della bambina anziché più flebile si fa più nitida: Agnese le infilava le dita nella patatina e nel culetto. Il giudice ascolta la bambina nel marzo del 2017 e l’audizione aggiunge nuovi pezzi all’assurdo puzzle di accuse. Stella dice che Agnese la toccava e la leccava, ma che lei non doveva leccare Agnese come invece precedentemente affermato. Non si ricorda più che in bagno c’erano i mostri “nel cartoncino di Agnese”. Poi – e questa è l’assurdità più grossa – aggiunge: “Maestra Carla c’era sempre quando Agnese mi faceva del male. La maestra di religione, proprio quella che insegna a amare Dio, dovrebbe essere licenziata! Sbirciava dall’oblò mentre mi toccava la patatina!”. Quindi la bambina accusa una maestra di partecipare all’abuso descrivendo porte con oblò che in quella scuola non esistono. Un’accusa gravissima, eppure nessuno indaga su quella maestra. Infine il giudice chiede alla bimba di descrivere Agnese. Stella risponde che ha i capelli gialli e lunghi fino alle spalle. Agnese aveva i capelli cortissimi e bianchi. In un’udienza il difensore della Usai Walter Pani, fa notare come nel 2014, l’anno in cui la bambina denuncia il fatto, il fratellino subisca un’im – portante operazione. Lo stesso anno muore il nonno di Stella. Inoltre Stella è nata prematura e i primi tre anni di vita non ha potuto frequentare il nido. La mamma quando lei ha due anni subisce una lunga ospedalizzazione. Insomma, i genitori sono certi che nel 2014 Stella sia cambiata per una bidella cattiva, anziché per una situazione familiare complessa. Senza una prova, nonostante le tante dichiarazioni false o contraddittorie di una bambina che all’epoca dei fatti aveva 4 anni e viene interrogata due anni e mezzo dopo, senza una visita ginecologica ma con perizie che suggeriscono l’abuso in base a sintomi che nessuno oltre la famiglia e le psicologhe ha mai notato, il pm Gilberto Ganassi non archivia, e il 2 maggio 2018 la Usai si vede notificare la chiusura delle indagini. Capisce che si va verso un processo. Il peso di accuse insopp ortabili Efisio, il fratello di Agnese, mi racconta che lui e suo fratello avevano sempre cercato di proteggerla dall’iter giudiziario: “Eravamo sicuri che avrebbero archiviato, ci sembrava tutto così sciatto, campato in aria. Purtroppo quella notifica è arrivata nelle sue mani e lei non ha più sopportato le accuse”. Il 6 maggio del 2018, quattro giorni dopo, Agnese si chiude in un piccolo bagno che dà su un cortile dove c’è la sua casa. Prova a far arrivare il fumo della marmitta di uno scooter tramite un tubo nel bagno ma non ci riesce. Allora usa un braciere, lo accende, lascia che l’aria si consumi e muore. Scrive “Sono innocente” in alcuni biglietti che ha in tasca. La troveranno suo fratello e suo nipote, distesa per terra. Uccisa dal fumo. Quello denso, irrespirabile, del sospetto. © RIPROD