Il Messaggero, 27 luglio 2019
La Lega chiede 13 miliardi per la flat tax, i 5s vogliono il salario minimo
Prima pagina
ROMA Come due coniugi separati in casa, la Lega e il Movimento Cinque Stelle proseguono il loro lavoro in vista della manovra. Il Carroccio ha già alzato il velo sulle sue intenzioni durante il vertice al Viminale con le parti sociali. Con tanto di conteggi. Per la sua flat tax la Lega ha intenzione di stanziare almeno 13 miliardi di euro. L’ipotesi di lavoro è nota e prevede l’introduzione di un’aliquota al 15% per i redditi familiari fino a 55 mila euro. Si tratterebbe di un regime «opzionale». Significa che chi paga meno tasse utilizzando i vecchi scaglioni con le relative detrazioni e deduzioni, può liberamente scegliere di continuare ad utilizzarli. Secondo le parole di Armando Siri, l’ex sottosegretario ai trasporti e padre della flat tax leghista, la riforma permetterebbe un risparmio fino a 3.500 euro l’anno per i redditi medi. Nel progetto del Carroccio c’è anche un altro aspetto di rilievo: l’intenzione di accorpare le due aliquote più alte, quella del 43% e quella del 41% inglobandole in quella del 38%.
Il Movimento Cinque Stelle ha altre idee. Alcune delle carte sono ancora coperte, anche perché il partito di Luigi Di Maio ha costituito cinque tavoli tecnici di approfondimento (spending review, riforma fiscale, export, Sud e innovazione), dai quali dovranno uscire le proposte dettagliate. Più che al fisco, tuttavia, il Movimento guarda in un’altra direzione. La priorità è portare a casa il salario minimo legale di 9 euro l’ora, uno dei cavalli di battaglia dei Cinquestelle. L’operazione ha però, una controindicazione. Garantire un salario minimo per legge ha un costo per le aziende, soprattutto quelle piccole e piccolissime, che difficilmente riuscirebbero a sostenerlo.
LA VIA D’USCITALa via d’uscita individuata dal Movimento, è quella di dare una «compensazione» sotto forma di taglio del cuneo fiscale (e dunque del costo del lavoro) a tutte le imprese. La strada da seguire l’ha indicata Di Maio nel vertice di Palazzo Chigi con le parti sociali. L’idea è quella di azzerare il contributo dell’1,6% per la Naspi (l’assicurazione sulle disoccupazione) per le imprese che assumono i lavoratori a tempo indeterminato. Così facendo si ridurrebbe in maniera generalizzata il costo del lavoro di 4 miliardi di euro. Una cifra certo più sostenibile per le casse dello Stato, ma già giudicata insufficiente dalle imprese. Anche perché, secondo le stime dell’Inapp, un salario minimo di 9 euro comporterebbe un aggravio dei costi per il sistema delle imprese di 6,7 miliardi di euro. Già scendendo a 8 euro l’ora, il peso si ridurrebbe a circa 3 miliardi di euro. Oltre al Movimento e alla Lega, c’è poi il lavoro che, sottotraccia, sta facendo il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Al ministero ci sono diverse simulazioni per accorpare alcuni scaglioni dell’Irpef. Tria ha detto che l’intenzione è sgravare il ceto medio. Ma quante risorse è disposto a mettere a disposizione il Tesoro per la riforma fiscale? Tutte quelle che si otterranno tagliando la spesa e rivedendo le detrazioni fiscali. Due temi politicamente scottanti. C’è poi il destino del bonus Renzi da 80 euro. Su questo sono più o meno tutti d’accordo: sarà trasfomato in una detrazione sul costo del lavoro e, probabilmente, aumentato. Di quanto? Tria ha detto fino a 90 euro. La Lega ha subito rilanciato a 100 euro.