Il Sole 24 Ore, 27 luglio 2019
Ultime sulla crisi in Spagna
Esteri Spagna
Totale chiusura a una coalizione con Podemos, accuse anche all’opposizione di centro-destra, ma appello a tutti i partiti perché sostengano Pedro Sanchez nella formazione di un nuovo governo che sia «in carica nel pieno delle sue funzioni quando in autunno i giudici emetteranno la sentenza contro i leader indipedentisti della Catalogna».
Il giorno dopo la bocciatura del Parlamento, la prima linea dei Socialisti spagnoli fa quadrato attorno a Sanchez e cerca di dettare la linea per i prossimi negoziati: «Abbiamo cercato di creare una coalizione di governo ma Podemos l’ha bloccata. Podemos ha rifiutato un’offerta più che ragionevole, la strada in quella direzione non è più percorribile», ha spiegato la vicepremier Carmen Calvo. «Dobbiamo trovare altre vie. Continueremo a lavorare con gli altri partiti per evitare nuove elezioni» ha aggiunto Calvo, sottolineando che «Popolari e Ciudadanos sono rimasti a guardare la sconfitta del governo socialista senza fare nulla, con grave mancanza di responsabilità».
Ci sono due mesi di tempo per trovare una soluzione di governo prima che scatti inesorabile lo scioglimento delle Camere e la Spagna sia costretta a tornare al voto, per la quarta volta in quattro anni, il 10 novembre. Fino a fine settembre, a Madrid non ci sarà dunque un governo in carica, si proseguirà con la normale amministrazione gestita dai ministri socialisti uscenti: una sorta di esercizio provvisorio che toglie forza politica e riduce i margini di manovra del governo in economia (manca una legge di bilancio per il 2019 e proprio sulla mancata approvazione della Finanziaria Sanchez si era dimesso, lo scorso febbraio).
Re Felipe ieri ha esortato ufficialmente tutte le forze politiche a mettersi d’accordo per dare un governo stabile al Paese e ha annunciato che, seguendo la Costituzione, avvierà un nuovo ciclo di consultazioni all’inizio di settembre. Sanchez ha già spiegato ai suoi che «non aspira a presiedere un governo a qualsiasi costo», di volere «un governo coerente e coeso» e di essere rimasto «molto deluso dal Parlamento, perché la Spagna ha bisogno di un governo al più presto».
La questione catalana, con il processo in corso ai leader secessionisti, è la questione politica più urgente: la rottura istituzionale profonda tra Madrid e Barcellona si inserisce in un tema più ampio che riguarda il rapporto tra lo Stato centrale e le autonomie regionali. La necessità di rivedere le competenze e i trasferimenti delle risorse è emersa da anni, ma è rimasta senza risposte, prima a causa della crisi finanziaria e poi per l’accendersi delle rivendicazioni catalane.
«È evidente che la Spagna ha bisogno di un governo. E anche che ha bisogno di riforme. Ma la mancanza di riforme non dipende dalla vicenda Sanchez, riguarda invece la scarsa capacità del Paese di rinnovarsi già nota da anni», dice Javier Diaz-Gimenez, economista della Iese Business School. «In questo momento – aggiunge Diaz-Gimenez – la mancanza di un governo non ha un impatto significativo sull’economia spagnola: non c’è instabilità perché non ci sono cambiamenti di rilievo e non c’è nemmeno incertezza, perché sui temi di fondo la Spagna non può dare sorprese: sulla fedeltà all’Europa, per esempio, tutti i partiti sono concordi, non ci sono movimenti politici che destano preoccupazioni per la loro forza di rottura. E poi i mercati finanziari stanno guardando altrove, a Brexit e soprattutto all’Italia».
Il Fondo monetario internazionale prevede una crescita del Pil pari al 2,3% nel 2019 e dell’1,9% nel 2020 soprattutto sulla spinta degli investimenti (mentre segnano il passo i consumi delle famiglie, la spesa pubblica e le esportazioni). Nonostante il rallentamento globale, l’economia spagnola dovrebbe riuscire a creare, in due anni, più di 800mila posti di lavoro facendo scendere il tasso di disoccupazione al 12,2 per cento.
«La maggiore incertezza sulla politica economica sembra avere un impatto limitato sull’attività. Tuttavia – afferma Miguel Cardoso, capo economista di Bbva Research – sono necessarie riforme per contribuire a invertire la tendenza al rallentamento, per ridurre la disoccupazione strutturale e per aumentare la crescita potenziale: le chiavi per ridurre la disuguaglianza». Per Cardoso i timori vengono dalla frammentazione politica, che rende «molto difficile costruire consenso sulle riforme necessarie per la crescita inclusiva» e da accordi di governo che possano «peggiorare le condizioni dei conti pubblici» o «scoraggiare il risparmio e gli investimenti».
Il Fondo monetario ha sottolineato, pochi giorni fa, l’urgenza per Madrid di «tagliare il deficit strutturale di bilancio, contenere l’indebitamento verso l’estero» e «ridurre la dualità del mercato del lavoro, diviso tra contratti a tempo indeterminato e contratti a termine». L’Ocse aggiunge alle critiche al mercato del lavoro, la raccomandazione di rivedere «l’efficienza e la progressività del sistema tributario».
Per gestire le tensioni in Catalogna, come per un’azione incisiva di politica economica, tuttavia, serve un governo con pieni poteri, che la Spagna non ha da febbraio e non avrà fino a settembre, o fino all’anno prossimo se si tornerà a votare.