la Repubblica, 27 luglio 2019
Il Tour di Mura
Sport Ciclismo Tour de France
TIGNES – Succede di tutto, anche troppo. Una tappa neutralizzata per maltempo a 26 km dal traguardo. Nessun ordine d’arrivo, quindi nessun vincitore. Valgono i tempi presi in cima all’Iseran. Ma il vincitore c’è, si chiama Egan Bernal, nuova maglia gialla. Alaphilippe è rosolato dal gioco di squadra, finalmente chiaro, dell’Ineos. Un altro favorito, Pinot, si ritira al km 36, non riesce più a pedalare per i dolori alla coscia sinistra. Dopo aver illuminato la corsa, a due giorni da Parigi, la Francia rischia di ritrovarsi al buio, cioè giù dal podio. Mentre la Francia brucia sotto una canicola senza precedenti dal 1873, il dio del ciclismo ha spedito sulla corsa una tempesta di grandine, più due frane sulla strada. Il direttore del Tour, Prudhomme, sempre più somigliante a Enrico Bertolino, e il direttore di corsa Gouvenou, d’intesa con la giuria, hanno preso velocemente la sola decisione possibile: interrompere la tappa nella discesa dell’Iseran, prima che arrivasse a Val d’Isère. Lì, ripreso dagli elicotteri, il paesaggio sembrava una cartolina di Natale. Uno strato di ghiaccio. La sicurezza dei corridori prima di tutto, in quelle condizioni non si poteva correre. C’è voluto un po’ per farlo capire a Bernal, che scendeva rapidissimo con Simon Yates a ruota, gli altri tutti seminati. «Mi parlavano in inglese, non capivo perché dovessimo fermarci. Me l’hanno spiegato in spagnolo e allora ho tirato i freni». Quando arriva al traguardo, sulle ammiraglie come tutti i corridori (alloggiati a Tignes) abbraccia e bacia la fidanzata. Si chiama Xiomara Guerrero, tre titoli colombiani di mountain bike. Commossa fino alla lacrime. Ma anche Bernal è commosso. Ha attaccato a 5 km dalla cima dell’Iseran, oltre i duemila metri, quando molti hanno problemi di respirazione ma i colombiani no, in genere. Se Quintana perde le ruote è per la fatica del giorno prima. Thomas è gallese, ma su queste montagne, a La Rosières, l’anno scorso aveva anticipato l’attacco relegando Froome al ruolo di gregario nobile. Ci ha pensato Bernal? «No. Le cose erano chiare già la sera della vigilia, e ce le siamo ridette prima della partenza. Una volta isolato Alaphilippe, Thomas avrebbe allungato e io dovevo tenermi pronto e allungare a mia volta. Sapevo che se avessi fallito avrei compromesso il podio, ma se fosse andata bene potevo vincere il Tour. Al traguardo mi aspettavano mio padre e la mia ragazza, tutta la Colombia era collegata». Bernal, maglia gialla e maglia bianca, sarebbe (è, salvo imprevisti) il primo colombiano a vincere il Tour e il più giovane vincitore del dopoguerra. «È il Messi del ciclismo» aveva detto Dave Brailsford in tempi non sospetti. «È una pepita d’oro purissimo» aveva detto Prudhomme. Tutto è Bernal tranne che una sorpresa. Il Tour (dell’Avvenire) lo aveva già vinto, con due tappe, nel 2017. Quest’anno, Parigi-Nizza e Giro di Svizzera. Doveva correre il Giro ma gliel’ha impedito una frattura della clavicola, in Spagna. Non ha punti deboli: si difende a cronometro (ma può migliorare), è fortissimo in salita e anche in discesa. Alaphilippe, pur piombando a valle come un disperato, non gli ha recuperato un secondo. Cosa farà verso Val Thorens? Attacco o controllo? «Non lo so, dobbiamo ancora parlarne. Ma lasciatemi dire una cosa: grazie capitano». Il messaggio, in perfetto italiano, è per Thomas. Lo parla perché ha abitato ai piedi dell’Etna e poi per due anni, passato sotto le ali di Gianni Savio, nel Canavese. Alla trattoria Buasca di Cuorgnè staranno brindando da un po’. È la sede del Bernal Fan Club Italia. Tra le tante cose della tappa, un Nibali in fuga che lavora per Caruso. C’è anche Ciccone. Nei tempi di corsa, che non possiamo chiamare ordine d’arrivo, Bernal rifila 13” a Simon Yates, 40” a Barguil, 1’03” a De Plus, Kruijswijk, Thomas, Buchmann, Nibali, Uran e Landa, 1’20” a Porte e Muhlberger, 1’49” a Valverde, Caruso e Poels, 2’10” ad Alaphilippe. In classifica Alaphilippe salva il secondo posto, a 48” da Bernal. Ma Thomas (distante da lui 28"), Kruijswijk (a 40") e Buchmann possono toglierglielo. Sarà l’ultimo verdetto di oggi. Alaphilippe s’è difeso allo spasimo, ma le salite lunghe non sono ancora il suo pane e la freschezza è quasi scomparsa. Resta il temperamento, che non sempre basta. I non spettatori hanno aspettato il suo arrivo applaudendolo come un vincitore. A modo suo lo è. Sull’Iseran, il 14 luglio del ’59, Louison Bobet aveva dato l’addio al Tour e al ciclismo. L’addio al Tour Pinot lo dà su una salitella senza storia, la Montée d’Aussois. È già lontano più di 4’ dal gruppo. Va all’auto del medico, gli bendano la coscia sinistra. Sulle prime si pensa alla puntura di un insetto. Ma è una cosa più seria: lesione al vasto mediale. Spiega il ds Maudit: «Nella tappa di Nimes, per evitare una caduta, Thibaut aveva urtato il manubrio con il ginocchio. Ieri ha sofferto, s’è salvato. Ieri sera faceva fatica a salire i gradini. Stamattina sembrava migliorato, invece no. Continuare così non aveva senso». Non ha molta fortuna, Pinot: s’è ritirato dal Tour nel ’13, nel ’16, nel ’17 e nel ’19. L’anno scorso, al Giro, era crollato a Cervinia, arrivando a 45’ da Nieve quando era terzo in classifica. Subito ricoverato in ospedale per complicazioni polmonari. Declinando Alaphilippe, era la grande speranza dei francesi, l’uomo destinato a succedere a Hinault. Sarà per un’altra volta, ma con questo Bernal sarà dura per chiunque, nei prossimi anni. La decisione di neutralizzare la corsa è stata accettata da quasi tutti. Eccezione la Jumbo, che ha visto in questa mossa una grossa mano ad Alaphilippe, che effettivamente nell’ultima salita avrebbe perso altri minuti, liberando il posto sul podio. La Jumbo si è successivamente scusata. Già nel ’96 la neve e il vento su Iseran e Galibier avevano portato all’accorciamento della tappa: solo 46 km da Monétier-les-Bains al Sestriere. Dove Riis, poi noto come Monsieur 60%, con riferimento all’ematocrito, aveva tolto la maglia gialla a Berzin. In tempi più recenti, completamente cancellata al Giro la tappa di Val Martello, neutralizzata la discesa dello Stelvio, anche se Quintana fece un po’ il furbo. La Sanremo del 2013, vinta da Ciolek, fu neutralizzata ai piedi del Turchino e i corridori portati in pullman fino ad Arenzano. Negli anni cosiddetti eroici la sicurezza dei corridori non era al primo posto. Anzi, più schifoso era il tempo più si esaltavano i giganti della strada. Tra neve e fango, corridori intirizziti e finiti nei fossi, la Sanremo del 1910 fu raccontata magistralmente da Vittorio Varale. Altri tempi, ma è giusto salvaguardare i corridori, che rischiano già molto in condizioni normali. Ieri non erano normali. E nemmeno oggi, visto che dal percorso sparisce il Cormet de Roselend. Resta la salita di Val Thorens, tappa di 59 km in tutto.