la Repubblica, 27 luglio 2019
“Neruda è stato avvelenato"
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La famiglia di Pablo Neruda non si arrende. Convinta che il 23 settembre 1973 il poeta sia morto avvelenato e non consumato da un tumore, accusa l’istituto medico-legale di Santiago del Cile di intralcio alla giustizia. Il caso era scoppiato nel maggio del 2011 quando l’ex autista di Neruda, Manuel Araya, aveva raccontato le ultime ore di vita del poeta comunista, legatissimo al presidente Salvador Allende, nei giorni successivi al golpe militare dell’11 settembre. Araya sosteneva che qualcuno avesse avvicinato Neruda nella stanza della clinica dov’era ricoverato per avvelenarlo con una iniezione letale. Nel 2013 il corpo era stato riesumato e le prime analisi avevano confermato la versione ufficiale: tumore alla prostata con metastasi. Due anni fa però un team di esperti internazionali aveva riaperto il caso: nel corpo di Neruda c’era una forte concentrazione di una sostanza paralizzante. Serviva dunque analizzare tre campioni di terra raccolti nei pressi della sepoltura per avere la certezza che la contaminazione non fosse stata posteriore alla morte. Da allora, denuncia l’avvocato della famiglia Rodolfo Reyes, che è anche il nipote di Neruda, il servizio medico- legale si è rifiutato di mettere i campioni a disposizione della giustizia, sostenendo di averli già utilizzati per altre analisi. «Durante la perquisizione ordinata giovedì dal giudice Mario Carroza – ha spiegato Reyes – i campioni sono stati ritrovati». Adesso saranno trasmessi a un laboratorio canadese, che si spera possa definitivamente chiarire le cause della morte. Anche se Pinochet è già stato condannato dalla Storia, la famiglia e il Partito comunista cileno vogliono essere certi che Neruda non sia stato un martire del dittatore. Il poeta aveva infatti deciso di lasciare la clinica e il Cile per esiliarsi in Messico.