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 2019  luglio 27 Sabato calendario

Caccia sotto il mare a un relitto del 1937

Archivio
NEW YORK – Ventimila leghe sotto i mari. Potrebbe trovarsi davvero laggiù l’ultima ossessione di Robert Ballard, l’Indiana Jones degli abissi, lo studioso che dopo aver ritrovato il relitto del Titanic, la nave da guerra tedesca Bismarck e il transatlantico inglese Lusitania, ora spera di ripescare il Lockheed Electra della leggendaria Amelia Earhart. L’aviatrice sparita nel 1937, nel tentativo di fare il giro del mondo. Per questo, l’oceanografo e archeologo americano si prepara a scandagliare i fondali della barriera corallina di Nikumaroro, nel cuore dell’Oceano Pacifico, fra Hawaii e Australia, con un mezzo sottomarino chiamato Nautilus proprio come quello mitico di Capitan Nemo, partorito dalla fantasia di Jules Verne. «Non posso più aspettare. Ritrovare quell’aereo è nel mio radar da anni», dice al Washington Post lo studioso 77enne, poco prima di partire alla volta dell’isola disabitata dove, nel 1940, vennero ritrovate ossa recentemente attribuite ad Amelia. «Quei resti sono autentici», afferma. «La mia missione partirà il 7 agosto e si basa sulla teoria più accredita». Secondo cui, cioè, dopo essere partita da Miami il 1 Giugno 1937, e aver compiuto appena 10 mila chilometri in 28 giorni, per colpa di mappe approssimative e problemi al motore, Earhart tenta il gran balzo il 2 Luglio. Punta sull’isola Howland, nel cuore del Pacifico. Una tratta lunga 5000 chilometri e molto pericolosa, affrontata in costante contatto radio con la nave della guardia costiera americana Itasca. È proprio questa, il 3 Luglio, a captare gli ultimi due messaggi di Amelia: incomprensibili e a lanciare l’allarme. Le ricerche durano due settimane e sono le più impegnative e costose dell’epoca: ma della donna e del suo aeroplano non si trova nessuna traccia, tanto che i soccorritori credono sia finita negli abissi. Secondo Ballard, invece, l’aviatrice riesce a fare un atterraggio d’emergenza sulla barriera corallina a nord-ovest di Nikumaroro. Da lì invoca aiuto via radio: messaggi disperati che la nave americana non capta, ma – secondo l’International Group for Historic Aircraft Recovery – vengono ascoltati da una serie di radioamatori nel mondo: «L’acqua sta salendo», ripete. Quando la marea le porta via l’aereo, lei raggiunge il lembo di terra che diventerà la sua tomba. Per cercare il bimotore, l’oceanografo e i suoi collaboratori («Mezzo equipaggio è costituito da donne, in omaggio alla pioniera dei cieli») useranno una sorta di scanner capace di distinguere tra oggetti duri e morbidi. Un sonar speciale adatto a zone vulcaniche piena di pozzi e valli come quella. Una volta mappata l’area, Ballard si calerà negli abissi: «Perché il sonar non distingue una roccia simile a un motore, da un motore». Sperando di ritrovare una scia di detriti – bulloni, pedali, ali – che lo guidino al relitto, come accaduto in passato. Convinto di poter trasformare la ricerca in un grande show televisivo: da mandare in onda ad ottobre sul National Geographic che finanzia la missione. A ventimila leghe sotto i mari.