la Repubblica, 27 luglio 2019
Guerre in corso in Asia
Militaria
PECHINO – Kim Jong-un che lancia altri due missili. I jet di Seul che sparano colpi di avvertimento contro un aereo russo. Le navi da guerra cinesi che insidiano una piattaforma petrolifera vietnamita. Il Giappone che boicotta l’industria hi-tech sudcoreana. Si chiude una settimana di straordinaria tensione tra terre, mari e cieli dell’Asia Orientale. Ma prepariamoci: diventerà ordinaria. Perché quello che già tempo fa qualcuno definiva un «calderone», indicandolo come un prossimo possibile scenario di guerra, ribolle ogni giorno di più di vecchie e nuove instabilità. L’inesorabile ascesa del Dragone, che allunga le sue zampe tutto attorno. E il disimpegno degli Stati Uniti, per anni poliziotto del Pacifico, ora in ritirata, a cui Donald Trump aggiunge l’imprevedibilità della sua politica-show. Il risultato di questo vuoto sono numerosi fronti di tensione a geometria variabile. La cui costante è una corsa ad armarsi: nel 2018 i Paesi asiatici hanno speso 392 miliardi di dollari, una crescita del 52% rispetto a dieci anni prima. La Cina è vicina Gonfia il conto soprattutto la Cina. Anche quest’anno le spese militari di Pechino saliranno del 7,5%, sempre meno in truppe, sempre più in equipaggiamento. Xi Jinping sta modernizzando l’Esercito popolare, lo vuole «capace di vincere una guerra». E isoletta dopo isoletta continua la colonizzazione del Mar Cinese Meridionale. Da qualche settimana le sue fregate gironzolano attorno a una piattaforma offshore vietnamita, acque e idrocarburi che la Cina rivendica come propri. Intanto si avvitano i bulloni dell’alleanza di regimi con Vladimir Putin, inviando sopra il Pacifico pattuglie aeree congiunte di bombardieri. La prima ha già provocato un incidente. Martedì uno dei velivoli russi sarebbe entrato nello spazio aereo della Corea del Sud, che ha fatto decollare i caccia. Sia Seul che Tokyo protestano, preoccupate dai blitz stranieri sui cieli di casa. Guerra commerciale bis Peccato che Tokyo e Seul stiano battagliando su un altro fronte. Antiche dispute sui risarcimenti di guerra si sono incancrenite in una vera sfida commerciale. Il governo Abe ha bloccato l’export di tre materie prime chiave per l’industria hi-tech di Seul, locomotiva nazionale, e ora minaccia addirittura di depennarla dalla lista “bianca” dei partner privilegiati. Tale è la tensione tra i due alleati degli Stati Uniti, che Trump ha spedito in missione di pace il consigliere per la Sicurezza nazionale Bolton. Scarso successo, visto che l’America per loro è parte del problema. Ogni tre per due Trump minaccia nuovi dazi o ritiro dei marines, garanti della stabilità asiatica. Presto o tardi Giappone e Corea potrebbero essere costretti a difendersi da sole (dalla Cina), così si stanno armando. Abe Shinzo ha approvato un budget monstre per la difesa e proverà a modificare la Costituzione pacifista. Ma pure la colomba Moon Jae-in programma di aumentare le spese militari. Buona notizia per l’industria bellica Usa, da cui si riforniranno, meno per la tranquillità dell’area. Le incognite Ma il vero benvenuto a Bolton lo ha dato Kim, che nelle stesse ore, binocolo alla mano, ordinava il suo terzo test missilistico in due mesi. Un messaggio contro la Corea del Sud, perché America intenda. In questo scacchiere asiatico, gli umori del dittatore nucleare sono una delle grandi incognite. L’altra è Taiwan, la Cina democratica. Xi Jinping vuole la riunificazione, se possibile pacifica, sennò con altri mezzi. La presidente Tsai Ing-wen, anti-Pechino, difende invece l’indipendenza. Gli Stati Uniti hanno autorizzato la vendita a Taiwan di aerei da combattimento e altri armamenti per 2 miliardi di dollari, mossa che ha fatto infuriare il Partito comunista. Il prossimo gennaio si andrà al voto, la democratica Tsai contro lo sfidante nazionalista Han Kuo-yu, una sfida che verrà riassunta come Stati Uniti contro Cina. Ad altissima tensione.