Corriere della Sera, 27 luglio 2019
Biografia di Jeffrey Epstein
Personaggi
America
Washington Anche l’astuto, lo scaltro finanziere Jeffrey Epstein è stato bidonato almeno una volta. Nel novembre 2004 aveva messo gli occhi su una villa con piscina, invenduta da due anni, a Palm Beach in Florida. Offrì 36 milioni di dollari per acquistarla, ma prima di chiudere la trattativa decise di chiedere un consiglio a un amico e lo portò a vedere la tenuta. Qualche giorno dopo venne a sapere che qualcuno aveva messo sul piatto 41 milioni di dollari, prendendoli a prestito dalla Deutsche Bank. Epstein scoprì chi era stato a comprare e poi a rivendere per 125 milioni a DmitriJ Rybolovlev, un oligarca russo molto vicino a Vladimir Putin. Chi? Facile: «l’amico» che aveva interpellato, l’immobiliarista e costruttore, Donald Trump. «Erano compagni di merende da anni», scrive Michael Wolff nel libro «L’Assedio» (Rizzoli, 2019), da cui è ricavato questo quadretto. Un raccontino decisamente utile per mettere a fuoco l’ascesa e la caduta di un personaggio familiare con i populisti di oggi e con i liberal di ieri. Da Trump all’ex presidente Bill Clinton.
Ora sono tutti in fuga da Epstein, 66 anni, incriminato per traffico di minori e abusi sessuali. Ma è difficile immaginare che nella New York degli anni Novanta e Duemila, nell’intreccio tra affari e politica, tra opportunismi e interessi, Jeffrey passasse inosservato.
Viene dalla periferia, è cresciuto a Coney Island: suo padre faceva il giardiniere, sua madre la bidella nella scuola di quartiere. Ha studiato matematica, ma ha mollato prima di laurearsi. Fino a 30 anni, niente da segnalare: fa l’insegnante e poi trova un impiego alla Bear Stearns, una banca di investimento di Manhattan. La svolta è tanto imprevista, quanto spettacolare: una conoscente comune lo presenta a Leslie Wexner, uno degli imprenditori più ricchi del Paese. Wexner è l’azionista di maggioranza del gruppo L Brands a cui fanno capo aziende come Victoria Secret’s e Bath & Body Works. Business redditizi, soldi da pompare con gli idranti. Ancora adesso, mentre scrivono note piene di sdegno, i manager di L Brands si domandano che cosa ci trovasse uno come Wexner in uno come Epstein.
Sta di fatto che Jeffrey, come scrive il New York Times, cominciò a frequentare assiduamente il quartier generale del gruppo e poi la reggia privata dell’industriale a Columbus, nell’Ohio.
Il suo talento indiscusso era allargare la sua sfera di influenza, senza dare troppo nell’occhio. In breve tempo Wexner gli affidò praticamente la gestione delle sue sterminate fortune. E l’advisor finanziere ne tratteneva per sé una parte cospicua. Per esempio la «town house» di 2 mila metri quadrati, valutati 56 milioni di dollari, a un isolato da Central Park. Oppure il jet privato della L Brands che ribattezzò «Lolita Express». Epstein restò la voce più ascoltata di Wexner, oggi 81 anni, fino al 2008, quando i pettegolezzi diventarono accuse formalizzate dalla procura della Florida. Era un predatore: adescava ragazzine minorenni offrendo 100-200 dollari per «un massaggio» che poi diventava un assalto sessuale.
Ma fino a quel momento il tycoon dell’Ohio aveva tollerato tutto il resto. A cominciare dagli agguati tesi dal suo «amico leale» alle modelle che si proponevano per sfilare con i completini sexy di Victoria’s Secret. La rete di Jeffrey era ormai una potenza autonoma. Aveva costituito la C.O.U.Q. Foundation che usava per fare beneficenza, ma prendendo bene la mira. Nel 2006, per esempio, rivela il Daily Beast, aveva versato 25 mila dollari alla Clinton Foundation. E l’ex presidente lo aveva lodato pubblicamente: «È un grande benefattore», per poi salire 26 volte sul «Lolita Express».