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 2019  luglio 27 Sabato calendario

Sull’assassinio del carabiniere e la pochezza dei politici

Editoriali
Giovedì, poche ore prima che il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega venisse accoltellato a morte nel quartiere Prati, Roma, l’associazione Antigone aveva diffuso il rapporto annuale sulle carceri. Era un elenco di conferme: abbiamo le carceri più affollate d’Europa, il numero dei detenuti aumenta nonostante diminuiscano i crimini, e questo per l’inasprimento delle pene, una specie di attività da diporto nei lustri degli ultimi governi. Cioè, gli italiani sono un po’ più onesti ma sono puniti sempre più accanitamente, e nell’inafferrabile esultanza degli italiani medesimi. Però c’è un altro dato che in teoria, purtroppo solo in teoria, potrebbe aiutarci ad affrontare più lucidamente i casi di cronaca, e dunque la realtà: anche i reati commessi dagli immigrati sono in calo: nel 2003, ogni cento immigrati residenti in Italia, ne erano in galera 1,16. Oggi 0,36.
Si dovrebbe pensare che, quando sono regolarizzati, gli immigrati tendano a integrarsi e a sfuggire alla delinquenza. Invece non lo si pensa. Le statistiche sono fredde, soprattutto ignorate ed espulse da un dibattito pubblico che non si risolleva dal rasoterra del piano emotivo. Così, ieri mattina, quando s’è saputo della tragedia del vicebrigadiere, non c’è stato uno dei nostri vacui leader capace di dolente saggezza, così: «Un abbraccio immenso a chi soffre. Spero che l’assassino di stanotte sia arrestato, che sia processato in tempi brevi, che gli sia assicurata una difesa, che venga giudicato secondo la legge, che sconti la sua pena in un carcere e non in una topaia».
Le parole che avete letto sono di Luca Bizzarri, comico ora in Rai, presidente della Fondazione Palazzo Ducale di Genova e figlio di carabiniere. Poco prima il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, si era augurato «lavori forzati in carcere finché campa» al «bastardo» pugnalatore. Che significhi, da un punto di vista giuridico e logico, «lavori forzati in carcere finché campa», è piuttosto misterioso. Che significhi da un punto vista politico, nel suo sprofondo, è invece chiaro e sfiancante: è la deformazione della realtà per rinfocolare odio e paura e raccattare consensi. Ma non è un’esclusiva di Salvini. Il giochino ne accende molti. Per Giorgia Meloni gli assassini sono «bestie» e «animali» che devono «marcire in galera». Pure il centrodestra berlusconiano, garantista nel tempo libero, ha impegnato un lessico barbarico. Silvio Berlusconi (in duetto con Laura Boldrini, così ci compiaciamo anche della sinistra) non si aspetta una pena giusta ma una pena severa (eppure si chiama amministrazione della giustizia, non della severità). Il presidente della Liguria, Giovanni Toti, si è spinto fino alle pene esemplari, in una declinazione maoista del diritto. Licia Ronzulli, sempre di Forza Italia, ancora oltre: «Pene più severe per chi uccide un servitore dello Stato» (di più severo dell’ergastolo, pena massima, ci sono forse tre giri di chiglia e poi in pasto ai pescecani). Li ha superati tutti Maurizio Gasparri, che ha ufficialmente aperto il dibattito sul ritorno al patibolo.
L’elevata discussione si tiene in tempi nei quali il governo è riuscito a contrastare gli arrivi di migranti, anche a costo di tenere in mare le navi della Guardia costiera, non delle ong delle «zecche», e a moltiplicare i clandestini, cioè gente che stava nei centri di accoglienza poi sgomberati e chiusi, e ora sta nelle strade a renderle più malsicure. Lo si dice, tocca sottolinearlo, quando ancora è incerta la nazionalità dell’assassino, risvolto che ha appassionato i social per l’intera giornata. Perché l’assassinato sappiamo chi è, ma è l’assassino, è la sua etnia a spostare la questione. Eccolo il nostro vero naufragio. Ma non pensino Salvini e i suoi epigoni di uscirne fischiettando: anche la loro barca comincia a fare acqua. Lo si è compreso ieri, alle parole di due rappresentanti del Cocer, sindacato dei carabinieri: «La responsabilità è dei vari governi, compreso questo, che si sono succeduti negli anni e che, per garantire diritti ai delinquenti, non hanno tutelato lo Stato e i suoi servitori. Non sono i decreti sicurezza che risolveranno mai questi problemi». E lo hanno detto poche ore dopo aver sollecitato il governo su faccende di previdenza, contratti, carriera: «È ora di passare dalle parole ai fatti». Se non bastasse, è poi stato il momento di Sergio De Caprio (il capitano Ultimo) che, in testa al suo sindacato, il Sim, l’ha messa giù ancora più dritta: «L’indifferenza che hanno verso i problemi e i diritti dei carabinieri è uguale all’ipocrisia che esprimono quando veniamo uccisi. Si chiama sciacallaggio». Quando si appiccano gli incendi, poi fa caldo per tutti.