Corriere della Sera, 27 luglio 2019
Che cos’è il TTS, corrente del partito del TTL
Editoriali
Ogni volta che i sondaggi danno in crescita Salvini, c’è anche un altro partito che cresce: il TTL, Tutto Tranne Lui. È il paradosso della politica italiana, una legge non scritta che si ripete uguale a se stessa, di epoca in epoca. C’è stato il TTB (Tutto Tranne Berlusconi) e il TTR (Tutto Tranne Renzi). Ora è la volta di Salvini. Chiunque salga troppo nei consensi genera una reazione uguale e contraria, come nella terza legge della dinamica. Si forma così, spesso in forme sotterranee o addirittura occulte, una santa alleanza di tutti i nemici del mio nemico, il cui unico scopo è mettere i bastoni tra le ruote dell’Uomo solo in fuga.
Condizione essenziale del TTL è che vi partecipi una quinta colonna, e cioè che ne facciano parte alcuni presunti alleati dell’Uomo da battere. Nel caso del TTS (Tutto Tranne Salvini), la guida è stata assunta addirittura dal premier del vice premier, e cioè da Giuseppe Conte. Invertendo ciò che accadde ai tempi di Berlusconi, quando alla testa del partito trasversale si pose invece il vice premier del premier, e cioè Gianfranco Fini. Un importante attributo della santa alleanza, che può rivelarsi decisivo, è il sostegno internazionale. Ieri Sarkozy e Merkel contro il Cavaliere, oggi Merkel e Macron contro il Capitano; o contro Putin, che ai loro occhi è lo stesso.
L’ arma più letale di cui un TTL possa disporre è il referendum: il gioco del tutti contro uno è il terreno ideale per unire le forze, come apprese a proprie spese Renzi che se lo autoinflisse. La speranza nascosta è che prima o poi arrivi, imprevedibile e improvviso, un «momento Noemi», capace di trasformare l’Uomo più popolare del momento in un’anatra zoppa, così da poter uscire allo scoperto e cominciare l’opera di distruzione. I nemici di Salvini avevano sperato che la storia del Metropol fosse uno di quei momenti, ma i sondaggi per ora dicono di no. Però, come in un film di spie, si dicono: mai dire mai. Vedono che il Capitano ha accusato il colpo e si domandano: c’è qualcosa che lo rende prigioniero del suo entourage e che può perderlo?
Per ora però il partito del Tutto Tranne Salvini è riuscito solo a guadagnare tempo, e finché c’è vita c’è speranza. Si vedeva già costretto a una sfida elettorale impari e perdente in autunno. E invece no, l’ha sfangata. Con l’aiuto del Salvini medesimo il quale, per ragioni che un giorno forse si capiranno ma certamente con vantaggio generale, non ha aperto finora la crisi. E se anche lo facesse adesso è molto improbabile che si vada alle urne prima di febbraio-marzo dell’anno prossimo.
Ma un partito, per quanto trasversale, non può vivere solo di speranza, senza una strategia e un minimo comun denominatore. I nemici di Salvini, con tutta evidenza, sono ben lungi dall’averlo trovato. Insistono ad attaccarlo sul suo punto forte: chiusura dei flussi migratori e fermezza sull’ordine pubblico resteranno a lungo temi centrali per gli italiani. Così al massimo si sentono dei mugugni, del genere che Fico e i suoi emettono ogni volta che escono dall’Aula.
L’esperienza insegna però che, prima seconda o terza repubblica, ciò che davvero unifica e mobilita il partito del Tutto Tranne Lui è la paura di un Uomo solo al comando, che privi gli altri di qualsiasi potere negoziale. E infatti sia contro Berlusconi sia contro Renzi il fronte comune si realizzò proprio per impedire il passaggio a un presidenzialismo di fatto, spesso adombrato da progetti di revisione della Costituzione.
Anche oggi una riforma costituzionale è in Parlamento; anzi, sta arrivando all’approvazione definitiva in tempi record, senza precedenti. La riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200 è una norma ovviamente popolare, al punto che sarà difficile trovare qualcuno che abbia il coraggio di chiedere un referendum per abrogarla, e appare neutra dal punto di vista politico. Ma in realtà, come ogni volta che si tocca l’equilibrio della Costituzione, anche questa riforma cambierà il gioco. Il nuovo sistema porta infatti con sé, automaticamente, un effetto maggioritario, perché alza le soglie implicite che si devono superare per conquistare seggi. Vuol dire che Salvini potrebbe raggiungere la maggioranza assoluta in Parlamento da solo anche con il 35-36%, sfruttando così appieno l’anacronismo dei collegi uninominali previsti dal Rosatellum ma ormai calati in un panorama politico in cui non ci sono più né le coalizioni né il bipolarismo.
La cosa preoccupa perfino gli aspiranti alleati di Salvini, di cui lui farebbe volentieri a meno; e forse è questa una delle ragioni per cui aspetta, il tempo può giocare a suo favore ed evitargli il fastidio degli accordi pre-elettorali. In ogni caso il rischio non è certo passato inosservato nelle cabine di regie del partito trasversale del Tutto Tranne Lui, che studiano le contromosse. Sarà ancora una volta una legge elettorale la madre di tutte le manovre, e lo stratagemma per tenere il più possibile in vita un Parlamento in cui Salvini è certamente più debole che nel prossimo?