La Stampa, 26 luglio 2019
L’Artide è in fiamme
L’Artide è in fiamme. Da oltre un mese, le regioni più fredde del pianeta sono sconvolte dagli incendi. Dalla Siberia all’Alaska, dal Canada alla Groenlandia, le immagini satellitari mostrano enormi nuvole di fumo sopra terre che per buona parte dell’anno sono coperte dai ghiacci e dalla neve. Si tratta di una situazione senza precedenti, che gli esperti riconducono al riscaldamento globale e alle sue nefaste conseguenze sull’equilibrio ambientale. Le temperature nell’Artide stanno salendo più rapidamente che nel resto del mondo e questo favorisce il propagarsi delle fiamme, soprattutto nelle zone boscose e scarsamente abitate. È un cane che si morde la coda.
Il fenomeno
L’aumento delle temperature rende possibili gli incendi. Ma, come spiega il direttore dell’associazione ecologista russa Plotina (Diga), Aleksandr Kolotov, questi stessi roghi, con «i gas serra emessi durante la combustione, contribuiscono al cambiamento climatico globale», che «si ripercuote sull’Artide, cucina del clima mondiale». Dall’inizio di giugno, il Copernicus Atmosphere Monitoring Service (Cams), ha registrato oltre cento incendi di grandi dimensioni sopra il Circolo Polare Artico. In totale, si stima che tra il primo giugno e il 21 luglio le loro fiamme abbiano sprigionato nell’atmosfera 100 megatoni di anidride carbonica, quasi quanto il Belgio in tutto il 2017.
La Siberia rovente
La situazione in Russia appare particolarmente grave. Se l’Europa in questi giorni è stretta nella morsa del caldo e la colonnina di mercurio a volte supera persino di parecchio i 40 gradi, in Siberia il vento e le temperature spesso sopra i 30 stanno favorendo il divampare di incendi colossali. In un’intervista alla Cnn, l’esperta dell’Organizzazione meteorologica mondiale, Claudia Volosciuk, ha sottolineato che a giugno in Siberia si sono registrate temperature medie quasi dieci gradi più alte rispetto al trentennio 1981-2010. Circa due milioni di ettari di terra sono andati in fiamme in Siberia e nell’estremo oriente russo. Ovviamente non solo nelle zone artiche.
L’invasione di fumo
Gli incendi interessano soprattutto le foreste delle aree più remote, i cosiddetti "settori di controllo", dove le autorità ritengono troppo costoso e pericoloso intervenire e i vigili del fuoco vengono inviati solo se le fiamme minacciano centri abitati o infrastrutture. Secondo Grigory Kuksin, di Greenpeace Russia, questi "settori di controllo" sono però troppo estesi, e in questo modo gli incendi divampano pericolosamente riempiendo di fumo mezza Russia senza che «nessuno si prenda la briga di spegnerli». «Rinunciare del tutto alle "zone di controllo" non è realistico – spiega Kuksin alla testata online Sibir. Realii – perché effettivamente non siamo in grado di estinguere tutti gli incendi nel nord del Paese, ma bisognerebbe come minimo dimezzarle». Anche Kolotov, il direttore dell’ong Plotina, la pensa allo stesso modo. «Tutto il mondo – denuncia – si batte per minimizzare le conseguenze ambientali sull’Artide, noi invece lasciamo bruciare» i boschi «pur di risparmiare». Il fumo dei roghi in queste settimane ha inquinato l’aria di vaste regioni della Russia. Una delle città più colpite è quella di Krasnoyarsk, dove il cielo è coperto da un velo nero creato dagli incendi che stanno distruggendo i boschi nel nord della regione a 800 chilometri di distanza.
Le ambizioni russe
Sono i terribili effetti del riscaldamento globale, che però permette alla Russia di puntare sempre più l’Artide. Lo scioglimento dei ghiacci facilita infatti lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio nonché lo sviluppo della Rotta marittima settentrionale che percorre le acque più fredde della zona economica esclusiva russa.