Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  luglio 26 Venerdì calendario

Parla Steven Zhang, presidente dell’Inter

NANCHINO Tutto è iniziato il 26 dicembre del 1990, con l’apertura di un negozio a Nanchino che vendeva condizionatori d’aria. Ora Suning è un gigante da 70 miliardi di euro l’anno di ricavi, subito dietro Huawei nella lista delle 500 più grandi aziende private in Cina. Sono 600 milioni i cinesi membri delle piattaforme del gruppo Suning, il cui sito online, in un giorno qualunque della settimana, arriva a 265 milioni di pagine viste. Qui dentro c’è anche l’Inter, da pochi mesi presieduta da Steven Zhang, figlio ventisettenne del fondatore Jindong. Ormai si divide tra Nanchino e Milano: «Vivo in un appartamento in centro, ma passo praticamente la mia vita in ufficio», dice. Passione per il design e, aggiunge, per il cibo italiano (con preferenza per lo stellato Da Vittorio, in provincia di Bergamo): «Può sembrare scontato ma per molti aspetti assomiglia a quello cinese e all’inizio mi ha aiutato a non sentire nostalgia di casa. Da studente mi dicevo sempre: anima da cinese ma mentalità globale».
È il più giovane presidente della storia dell’Inter: come si sente quando glielo ripetono sempre?
«Sì, me lo dicono spesso, ma non ci penso troppo. L’età non dovrebbe essere uno svantaggio, anzi il contrario. Significa avere più energia, più tempo per imparare, per migliorare e per cambiare. Una cosa che nell’industria del calcio manca. Se penso a altri settori o a ciò che accade in Cina o negli Stati Uniti, la gente che ha la mia età gestisce società che valgono miliardi. Persone come Mark Zuckerberg o Elon Musk sono partite anche prima di me, mio padre ha iniziato alla mia stessa età. Chissà, forse uno dei motivi per cui l’industria del football non sta crescendo così velocemente come dovrebbe è proprio perché manca della gente giovane».
Dal commercio online ai media, Suning oggi è un conglomerato con otto settori. L’Inter in fondo è solo una piccola attività...
«È vero, l’Inter è un’attività piccola all’interno di Suning ma allo stesso tempo è una responsabilità enorme. All’inizio della nostra operazione forse non l’abbiamo realizzato del tutto. È un club di football, ma è anche un’anima e un marchio, a cui la gente dedica molte delle sue energie. Dopo questi due o tre anni di lavoro ora però si può vedere che siamo una società solida, un club, un team forte anche sul campo. Abbiamo un ottimo coach, ottimi giocatori e la società ha il doppio delle persone che ci lavorano, una cosa che non si poteva immaginare fino a poco tempo fa».
E per Suning l’Inter che cosa rappresenta?
«Moltissimo. Nell’area sport-entertainment, ad esempio, è un grande asset. In Cina siamo la più grande piattaforma televisiva online per il calcio, e trasmettiamo tutti i più importanti campionati europei. Avere l’Inter in Europa permette a molte aziende o a molti club di conoscerci meglio e di darci fiducia, o all’Uefa di affidarci Champions e Europa League. Al mondo delle aziende e a chi deve vendere prodotti italiani o europei fa conoscere Suning. L’Inter diventa un link e un ponte per entrambi fondamentale».
Che piani di espansione avete, in particolare per l’Italia? Molti in Europa (ma non solo) temono questo attivismo cinese. Che risponde?
«Intanto: il cuore del nostro business è la vendita al consumo e ruota sempre intorno al consumatore. Quello cinese è ormai economicamente in grado di prestare più attenzione alla sua vita personale e cerca prodotti di qualità. Una delle ragioni per cui guardiamo all’Italia è proprio questa. Lo stile di vita, la moda, l’attenzione ai dettagli, il made in Italy in genere, sono tutte cose best-of-class nel mondo. Noi vogliamo costruire un ponte e aprire questi canali per il consumatore. Una grande opportunità per noi, ma anche per le aziende italiane, perché alla fine le culture sono differenti ed è difficile per loro capire che cosa si deve fare per operare in Cina».
E i timori per il vostro attivismo?
«È una paura immotivata. L’economia è sempre più collegata, la globalizzazione non può essere fermata. Se lavoriamo bene insieme, le nostre reciproche condizioni economiche non possono che migliorare e questo non ci deve di certo spaventare».
Nel mondo crescono le tensioni sul commercio, hanno riflessi su di voi?
«L’industria del consumo è ovviamente molto sensibile perché riflette in modo diretto la situazione economica globale, ma in Cina noi cresciamo ancora molto e molto rapidamente. Specialmente sulle attività online: in ogni anno dell’ultimo triennio la crescita delle vendite è stata anche superiore al 100%. Ecco perché, ripeto, per molti Paesi europei venire in Cina può essere una grande opportunità».
Sentiamo sempre dire che il fatturato, nel business del calcio, è l’unica cosa che conta se si vogliono raggiungere risultati sportivi. È sempre vero?
«Intanto ritengo corretta la filosofia del fair play finanziario e penso che vada nella giusta direzione per l’industria dello sport e anche per i club come il nostro. Ma alla fine la squadra che vince non è sempre quella che ha i ricavi maggiori. E questa è la parte divertente di questo sport. È anche vero però che alla fine i club con i ricavi maggiori hanno più possibilità e più flessibilità per prendere le decisioni che servono per cambiare e migliorare. Una delle cose più dirette, ovviamente, riguarda la compravendita dei giocatori». 
L’Inter ha ricavi per 350 milioni di euro, come colmare il divario con i primi della classe, che si avvicinano al miliardo? 
«Il gap era ancora più grande tre anni fa. Annullarlo sarà un processo lungo, ma il target di un club come l’Inter deve essere anche di superare quota un miliardo, una cosa possibile lavorando su stadio, sponsor, diritti televisivi in Italia e in Europa. Per questo siamo partiti costruendo un ottimo team di manager e con forti investimenti, cosa impensabile fino a poco tempo fa».
Siete impegnati con il Milan per un nuovo San Siro. Ma in Europa tutti i più grandi club hanno un loro stadio di proprietà. Non lo meriterebbe anche l’Inter?
«Storicamente Milan e Inter hanno condiviso lo stadio, ed economicamente parlando è stata una grande scelta in termini di costi e di utilizzo. La cosa funziona sia finanziariamente, sia per i tifosi e sia dal punto di vista delle prospettive del marchio. Ecco perché non ci separiamo e lavoriamo insieme per il nuovo progetto».
Anche in futuro?
«Certo, ci servono condizioni sempre migliori per lo stadio e se non ci troveremo d’accordo penseremo a nuove possibilità. Ma al momento vogliamo stare insieme».
Ha aiutato Milano ad ottenere le Olimpiadi invernali del 2026, perché?
«Anche qui: anima da cinese ma mente globale. Ho sentito la responsabilità di aiutare una grande città come Milano perché possa mostrare la sua vocazione internazionale e le grandi potenzialità che ha nel mondo dello sport. E poi alla fine l’Inter è una società milanese e anche io lavoro lì. Per tutti sarà una grande opportunità. E poi mi piace che dopo Pechino 2022 ci possa essere Milano 2026».
Non possiamo evitare di parlare della questione Icardi...
«Icardi è un grande giocatore, una brava persona e ha aiutato il club con molti gol in passato. Siamo sicuri che troveremo una buona soluzione per lui».
Nessun ripensamento visto che avete bisogno di attaccanti?
«No».
Firmerebbe oggi per arrivare alle ultime giornate di campionato in lotta per lo scudetto e per passare il primo turno di Champions?
«L’obiettivo per l’Inter è sempre quello di vincere tutte le partite. Alla fine non sono sicuro di riuscire a farlo, ma non firmerei un accordo così».