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 2019  luglio 26 Venerdì calendario

Intervista a Yves Mény

L’inizio del terzo millennio sarà analizzato tra qualche decennio come il momento in cui si sono rovesciate le credenze e rotte le convenzioni che hanno permesso di costruire la democrazia da due secoli a questa parte». Nel suo ultimo saggio, Popolo ma non troppo. Il malinteso democratico , Yves Mény analizza le origini dei populismi in Occidente nella convinzione che attraversiamo un fase storica cruciale. A sorpresa il politologo francese, già presidente della scuola superiore Sant’Anna di Pisa che oggi insegna alla Luiss-Guido Carli, vede la crisi delle democrazie liberali come un’opportunità per correggere alcuni eccessi che si sono creati nell’ultimo periodo. «Le critiche all’illiberalismo non tengono conto dei paradossi della democrazia liberale rappresentativa in una prospettiva storica» spiega Mény, che ricorda ad esempio come il liberalismo sia stato in origine «lo strumento di resistenza alla democrazia, intesa come potere illimitato del popolo sovrano».
Condivide l’analisi di Vladimir Putin sulla fine delle democrazie liberali?
«Tutto è questione di sfumature. Putin descrive in modo rozzo e strumentale la crisi delle democrazie liberali. Abbiamo una sola parola — democrazia — per definire il regime democratico ad Atene, quello degli Stati Uniti dal 1830 a oggi, quello dell’Italia nel dopoguerra, anche se vediamo bene che ci sono differenze enormi. Ho definito la democrazia come il bricolage di elementi molto diversi. Fin dal suo affermarsi, la democrazia non ha cessato di trasformarsi, integrando al suo interno regole, principi e istituzioni ispirate dal liberalismo politico ed economico. Il paradosso è che il liberalismo ha permesso la democrazia ma, nello stesso tempo, oggi ha preso troppa importanza e sta diventando una minaccia».
È il malinteso democratico di cui parla?
«Il liberalismo ha portato due cose importanti nelle democrazie. La prima è aver messo l’individuo al centro del sistema, riconoscendo il diritto alle libertà e ai diritti individuali. È stato molto utile, fondamentale direi, per la costruzione delle democrazie, ma oggi vediamo che siamo andati troppo lontano. Nessuna società può sopravvivere senza un legame tra i singoli, che si chiami associazione, sindacati, partiti politici, o famiglia, prima forma di sorpasso dell’individualità. Oggi, forse anche a causa delle nuove tecnologie, siamo finiti in un eccesso di individualismo, nel quale si pensa di poter fare a meno di tutti gli organismi di mediazione. Ogni individuo è come Sansone che demolisce le colonne del Tempio: distrugge, forse senza nemmeno rendersene conto, le fondamenta del sistema rappresentativo su cui si basano tutte le democrazie».
L’altro punto critico che solleva?
«Il liberalismo è servito a limitare il potere dello Stato o di chi è al governo. Anche in questo caso l’idea è giusta in partenza. Il cosiddetto potere al popolo sovrano non rappresenta il popolo intero e spesso neppure la maggioranza degli elettori. In Europa, ad eccezione dell’Ungheria di Orbán, nessun governo dispone della maggioranza degli aventi diritto al voto. Sono governi di minoranza o di coalizione, come succede pure in Italia nonostante Salvini si presenti come il portavoce di tutti gli italiani. Detto questo, negli ultimi trent’anni abbiamo accumulato un numero inedito di istituzioni che limitano la capacità decisionale di chi è al potere. Parlo delle corti costituzionali, della magistratura, di nuove autorità indipendenti, delle banche centrali, e infine anche dell’Unione europea. Ognuna di queste istituzioni ha la sua legittimità, ma l’accumulazione produce un effetto paralizzante».
Quindi i populisti hanno una parte di ragione?
«Riconoscere che ci sono delle ragioni oggettive nella crisi delle democrazie liberali non significa dare ragione ai populisti. La miscela che è all’origine della democrazia rappresentativa esiste ancora, ma le proporzioni tra l’elemento democratico e quello liberale si sono sbilanciate a svantaggio del primo. E d’altronde gli attacchi che vediamo oggi contro il liberalismo non sono una novità: è un valore che raramente piace alle masse perché implica moderazione, pluralismo, mediazione».
Quali sono i rimedi possibili?
«Bisogna correggere gli eccessi di liberalismo. Ridare alla politica la sua capacità di decidere e incidere sulle questioni rilevanti. In questo caso, lo snodo cruciale non è il sovranismo, anzi. La maggior parte dei grandi problemi non si risolve più a livello nazionale ma sovranazionale dove purtroppo le capacità decisionali sono deboli. Lo sviluppo democratico dell’Unione europea sarà dunque fondamentale per superare l’attuale crisi democratica mentre a livello nazionale penso che si debbano aumentare le forme di democrazia diretta per rispondere alla crisi di rappresentanza».
Dunque è convinto che alla fine le democrazie trionferanno?
«Appena nata la democrazia è stata combattuta dalle potenze conservatrici del Congresso di Vienna, stroncata sul nascere da quelle di Versailles, condannata dal papato, assassinata da nazisti e da fascisti, tradita dai comunisti, poco apprezzata dagli elitisti come Gaetano Mosca o Benedetto Croce. Il mio ottimismo viene dal fatto che non vi è un’alternativa credibile alla democrazia, salvo l’anarchia o un regime autoritario. Un altro punto per sperare è che in molti paesi dove ci sono stati i primi fenomeni populisti in Europa dall’inizio degli anni Duemila, parlo di alcuni partiti scandinavi, di Podemos in Spagna, di Syriza in Grecia, stiamo già vedendo un riflusso. Gli elettori realizzano che i populisti non fanno miracoli e capiscono che hanno proposto solo falsi rimedi. Le nostalgie autoritarie di destra di Putin, Trump e Salvini non possono rappresentare delle risposte adeguate, nonostante la fondatezza delle loro critiche. Perché al paradosso di un popolo sovrano, ma limitato, si risponde con un altro paradosso, quello di un popolo che finisce per avere un unico rappresentante, il Capo. Dunque penso che le democrazie sopravviveranno anche a questa stagione di confusione, aggiustandosi per l’ennesima volta, in un continuo bricolage. La democrazia è un libro aperto, con ancora molte pagine da scrivere».