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 2019  luglio 26 Venerdì calendario

Intervista a Stefano Binda

BREBBIA (VARESE) — «Sono stato assolto e mi hanno scarcerato, ma io sono sempre stato un uomo libero. E anche oggi non posso dimenticarmi della Lidia: la sua morte rimane impunita, la sua famiglia ha il diritto di pretendere la verità». Stefano Binda siede su un vecchio divano e nel buio del tinello di casa, davanti alla cucina, filtra solo un filo di sole.
Polo azzurra, pantaloni corti della tuta, sandali di gomma ai piedi, è appena rientrato dal primo giro in paese dopo tre anni e mezzo di carcere. «In prigione ci si sveglia presto — dice — al mattino non riesco più a dormire. Sono andato a messa e poi al bar a bere il caffè. Ho comprato i giornali e ho fatto la spesa, sono passato a ringraziare le persone che non mi hanno mai abbandonato. Ma ricominciare a vivere è difficile».
Fino a mercoledì sera è stato un assassino condannato all’ergastolo.
Oggi è un innocente rimesso in libertà. La Corte d’assise d’Appello di Milano non lo ha ritenuto colpevole dell’omicidio della ventenne Lidia Macchi, violentata e uccisa con ventinove coltellate nel bosco di Cittiglio, vicino a Varese, 32 anni fa.
Binda ha 51 anni, in carcere ha perso oltre venti chili e per tutto il colloquio sfoglia i libri che si era fatto portare in cella. Sono ancora in tre borsoni, accanto al tavolo: Ogni giorno una preghiera , il codice penale, La neutralità necessaria di Corrado Del Bo, un mini dizionario d’inglese, testi di filosofia. «Senza la fede e le opportunità del pensiero — dice — non ce l’avrei fatta».
Da assassino a innocente: si sente una vittima?
«Sì, sono vittima di un’ingiustizia, sotto diversi aspetti. Sono innocente e non ho fatto nulla di ciò che hanno trasformato in accuse contro di me.
Non si può fare giustizia contro la verità».
L’assassinio di Lidia Macchi resta impunito: c’è un omicida ignoto e libero?
«È così. Ho grande comprensione per la sua famiglia. Con il mio arresto e la mia condanna è stata illusa una seconda volta. La mamma e la sorella hanno il diritto alla verità. Mi dispiace moltissimo che in oltre tre decenni questo non sia stato possibile».
In questi anni ha dato una spiegazione alla sua condanna?
«È un mistero che ha cozzato contro l’evidenza dal primo istante. Ho resistito per la fiducia nel diritto e grazie alla certezza che nella vita ogni fatto concorre al bene».
Cosa intende dire?
«Gli eventi non necessariamente finiscono bene. Nel mio caso le possibilità che le cose andassero male erano alte. Ma arresto e condanna sono stati un’occasione anche per me».
Un’occasione per cosa?
«Per cambiare, per non restare la persona di prima. Ho perso tutto e dopo la malattia che mi ha colpito, ricostruirmi un’esistenza sarà dura.
Sembra strano, ma sento una forza e una serenità che prima non avevo».
Teme il terzo grado di giudizio, una condanna definitiva che cancelli questa assoluzione?
«Non ho paura, ma so che non è finita. La lotta resta lunga, magari la procura impugna in Cassazione il no alla ricusazione del collegio che mi ha giudicato innocente».
Cosa ha pensato, in tribunale, quando è stato assolto?
«Avevo fiducia. Grazie ai miei avvocati ho potuto provare di non aver ucciso Lidia e di non aver scritto la poesia che mi aveva incastrato.
Mentre il giudice parlava, già avevo capito che stavano per liberarmi. In carcere ho studiato diritto, conosco gli articoli del codice: ma quando ho sentito quella parola, mi si è bloccato lo stomaco».
Cosa farà adesso?
«Non ci penso, ma è un problema. Ho 51 anni, non ho un lavoro e la malattia mi ha privato della patente.
Non so chi può offrirmi una possibilità: mi affido ancora alla preghiera».
Come è stato il primo incontro con sua madre Mariuccia?
«Non siamo riusciti a dirci niente. Ci siamo abbracciati e abbiamo sorriso, il nostro modo per nascondere le amarezze. Giorni fa le avevo chiesto di mandarmi alcune foto di casa, non me la ricordavo più e ne avevo bisogno. Lei invece mi ha mandato le immagini delle nostre rose».
Davvero solo silenzio tra voi, dopo l’assoluzione?
«Questa notte, dopo alcune ore, mi ha detto "ce l’abbiamo fatta". Sono ancora troppo stanco per scegliere le parole adeguate a esprimere il tumulto che mi scuote».
Come ha trascorso le prime ore di libertà?
«A casa, con la famiglia e con gli amici. Mia mamma questa notte mi ha accolto con un lenzuolo bianco sul cancello. Con lo spray ha scritto "Bentornato a casa" e ha disegnato un cuore. Poi mi hanno fatto festa, fino alle cinque di mattina».
Pensa che ci fosse da festeggiare, mentre un omicidio rimane senza un colpevole?
«Innocenza e libertà per me non erano più valori scontati. Dopo tre anni e mezzo sono tornato a casa a mezzanotte. Gli amici mi seguivano con le pizze e con le birre. Erano loro ad aver bisogno di sfogare la felicità.
Io sono andato in camera mia con mio nipote Jonathan e abbiamo parlato, come facevamo tanto tempo fa. È stato bellissimo ritrovare un’intimità dimenticata».
Come l’ha accolta il suo paese?
«Sapevo che la gente di Brebbia era scossa, ma filtrava l’affetto e la speranza di rivedermi, da innocente. Mia mamma per oltre tre anni usciva di casa solo per andare a messa, le persone le chiedevano di me. Gli amici della filodrammatica passavano a chiedere novità.
Francesco e Riccardo, dell’associazione "Magre sponde", ci hanno aiutato anche economicamente».
Come si mantiene?
«Sono invalido, mia mamma fatica, le spese per difendersi sono enormi.
Quando si condanna una persona, specie se innocente, certe considerazioni non andrebbero sottovalutate».
Vorrebbe incontrare la famiglia di Lidia Macchi, cosa direbbe?
«Io sono pronto, la sorella Stefania ha stretto la mano a mia sorella Patrizia e le ha detto che mercoledì la madre, mentre mi assolvevano, era a casa con i suoi bambini. Vorrei abbracciarle e ripetere che il loro diritto alla verità vale quanto il mio alla libertà. Perdere una figlia di vent’anni è terribile. Processi come questi non hanno vincitori, solo sconfitti».
Stefano Binda smette di parlare, si alza e si scusa. «Basta — dice — sono esausto — e non capisco nemmeno se riesco ancora a provare qualcosa che vagamente assomigli ad un istante di felicità».