Elena, perché ha pubblicato la lettera?
«In un passaggio diceva: fate qualcosa sui giornali. Ho chiesto il permesso a zia, la sorella di mamma. Si sono battuti tutta la vita per una legge che aiutasse chi deve convivere per sempre con una persona con gravi disabilità. Daniela è nata nel 1982, la Prader Willi non si conosceva. Zio era appuntato di Finanza: nel ‘94 andò in pensione anticipata e divenne caregiver (chi vive assistendo un parente). Era l’ombra di Daniela. Non può stare sola neanche un minuto».
Qual è il "secondo mostro" che lo ha ucciso?
«Non la depressione, come pensano. Da dieci giorni aveva scoperto di avere il Parkinson. Abbiamo visto la sua disperazione. È stato un atto di amore, non di vigliaccheria: non poteva più seguire sua figlia e diventava a sua volta un peso per la moglie e l’altra figlia. Ha commesso un gesto estremo e folle, ma la lettera è di terribile lucidità».
Cosa chiede alla politica?
«Zia si batte da anni per la legge sui Caregiver: quella di febbraio è tutto fumo e niente arrosto. Il problema non è solo economico. Si sentono lasciati soli dallo Stato. Non ci sono abbastanza strutture adeguate che permettano ai genitori di respirare.
Non c’è l’assistenza di una persona formata che viene a casa e dice: signora vada a lavorare, prenda un caffè, per 5 ore sto qui con sua figlia. Daniela ogni tanto può andare al Centro Armonia a Latina, sovvenzionato dalla Regione, ma c’è una lista di attesa imbarazzante».
Che tipo di supporto serve?
«Il supporto nell’adesso, non la legge sul dopo di noi. Quello è un altro problema. Se un caregiver non si cura viene logorato, lo stress può uccidere a livello cerebrale».
Anche lei è stata una Caregiver?
«Non so se mi posso definire così. Andavo in ospedale a fare file e le chemio con mio figlio, però ero una caregiver momentanea. Altri sono segnati a vita. L’ho sempre detto a zia: quando è stato diagnosticato il tumore a mio figlio avevo una soluzione, loro no. Crescere con mia cugina disabile in casa mi ha reso diversa: è una grande scuola, una grande palestra di vita. Pur avendo un figlio con un tumore cerebrale mi dicevo: quanto meno possiamo provarci, a tornare alla normalità. Capisce? Mio figlio è nato sano: abbiamo avuto un intoppo e si poteva risolvere o meno. Ringraziando Dio e la medicina l’abbiamo risolto. Quindi mi lamento poco».
Se avesse la bacchetta magica cosa farebbe per i caregiver?
«Formerei persone per liberare un po’ chi sta con loro, perché lavorino e si distraggano. Mia zia, come tanti altri genitori, è agli arresti domiciliari. Vivono in galera, senza vacanze né cene fuori».
Sua zia continuerà a lavorare?
«No, come potrebbe? I fondi per i caregiver sono 1.800 euro in detrazioni fiscali per chi cura un malato di 80 anni o più, Ma vi pare possibile? E fino a 80 anni come ci arriviamo?».
Lei è tornata a lavorare.
«Sì, quando le terapie di mio figlio me lo consentivano. Ma nel mio caso non c’erano problemi economici. Mi hanno criticata e offesa per questo. In ospedale ne conosco tante di mamme che vanno a lavorare e poi si danno il cambio per stare con i figli».
Ha visibilità e ha combattuto: è riuscita a smuovere qualcosa?
«No. Bisogna che si muova la politica. Un genitore che dalla Sicilia viene a Roma per il figlio cosa fa con un assegno di invalidità di 400 euro? Ho visto genitori dormire in auto, mangiare una banana per non spendere alla mensa. C’è chi si è indebitato per curare i figli».