il Giornale, 26 luglio 2019
I leoni stanno sparendo
Il destino del leone è drammatico. Anno dopo anno l’Africa perde un pezzo alla volta della sacralità del suo re. Fa quasi tenerezza sentire il giovane Simba pronunciare nella celebre pellicola animata del 1994 la frase «io rido in faccia al pericolo». Oggi, come mai prima d’ora, le insidie che si trovano di fronte i leoni sono ben più insormontabili di quelle del cartone Disney. La riduzione dell’habitat e il bracconaggio mettono a repentaglio la sopravvivenza di questi maestosi mammiferi che si trovano a dover fare i conti con un doloroso declino. Gli spazi vitali si stanno riducendo sempre di più. L’habitat odierno corrisponde a meno dell’8% di quello in cui l’animale abitava sino a pochi decenni fa. Se in tutto il nord Africa il leone è ormai estinto da tempo, oggi a preoccupare è la situazione nell’area occidentale del continente, dove rimangono poche centinaia di esemplari. In tutta l’Africa, secondo le stime dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, sopravvivono oggi meno di 20mila esemplari, il 78% in meno rispetto a 20 anni fa, un lasso di tempo equivalente ad appena tre generazioni. I numeri di questo animale, che fuori dalle aree protette è ormai pressoché assente se si esclude il territorio del Sud Africa, fanno tremare i polsi. Si è quasi dimezzato nel complesso, ed estinto in dodici Paesi dell’area sub-sahariana. La situazione non è migliore in Asia, l’altra area geografica dove è possibile incontrarli. Si contano appena seicento esemplari, tutti confinati solo nel parco nazionale di Gir, in India.
A mettere a repentaglio la sopravvivenza dei leoni è una serie di cause naturali e di attività dell’uomo. Il problema della perdita di habitat dovuta ai business umani incide in modo particolare perché non colpisce solo i felini, ma anche le loro prede. Più l’uomo allarga la propria presenza minore è la presenza di bufali, gazzelle e zebre. E così i leoni inevitabilmente patiscono della scarsità di cibo. Tra i pericoli direttamente ascrivibili all’uomo ci sono poi il fenomeno del bracconaggio, la caccia illegale, e l’attività definita «trophy hunting». Una vera e propria vergognosa caccia al trofeo che vede persone disposte a spendere decine di migliaia di dollari per uccidere gli animali nelle aree protette. E sul mercato nero fiorisce anche il traffico illegale delle ossa di leone, al pari di un altro fenomeno simile, quello che riguarda le zanne d’avorio degli elefanti. Anche le malattie importate contribuiscono a mettere a rischio le residue popolazioni di felini. Nel 1994 il cimurro ha ucciso quasi un terzo dei leoni del Serengeti (tra Kenya e Tanzania) e dal 1995 è dimostrato che i leoni in Sudafrica muoiono di tubercolosi trasmessa da bovini domestici attraverso i bufali.
L’estinzione viaggia a ritmi vertiginosi: nel 1880 un censimento attendibile parlava della presenza di 1,2 milioni di esemplari. Negli anni cinquanta il numero era sceso a 550mila, negli anni novanta a 100mila, fino ad arrivare ai 20mila dei giorni nostri. È una storia che sembra ripetersi visto che nei tempi antichi il leone si trovava persino in Europa. In Grecia veniva cacciato da Alessandro Magno. Nel I secolo d.C. viveva in Georgia, Armenia e Azerbaigian. Oggi mancano del tutto in nazioni come Ghana, Costa d’Avorio e persino in Camerun che, ironia della sorte, aveva adottato il soprannome di «leoni indomabili» in tributo alle gesta della nazionale di calcio. Il re della foresta resiste in Kenya, Sudafrica, Botswana, Namibia e Zimbabwe. Il quadro è desolante, come sostiene Dereck Joubert, esploratore e fotografo sudafricano, consulente per il canale tv National Geographic: «Sono destinati a sparire del tutto entro una decina d’anni. Se non si provvederà a dar vita a un radicale cambiamento di rotta li potremo ammirare come rarità anacronistica negli zoo». Joubert sottolinea quanto sia fondamentale raccontare gli esiti positivi di alcuni progetti di conservazione. «Solo così la gente può capire che non tutto è perduto e impegnarsi in prima persona, facendo sentire la propria voce in maniera informata. L’indignazione via social non basta, servono fondi e sostegno alle iniziative che aiutano le comunità a convivere con i grandi felini attraverso la consapevolezza che salvando i leoni e il loro ambiente salviamo anche noi».
Gli scienziati, dopo anni di ricerche, confidano nelle tecniche di fecondazione artificiale per cercare di salvare le specie in via di estinzione, compresi i leoni, ma potrebbe non bastare. Servono soprattutto finanziamenti e qui entra in scena il Simba tanto amato dai bambini. In concomitanza con l’uscita nelle sale cinematografiche del sequel, la Disney ha presentato un progetto che intende salvaguardare diverse specie. Si tratta di una raccolta fondi (Disney ha già versato 1,5 milioni di dollari) che transita dall’acquisto di peluche in edizione limitata di Simba e Nala. Spiega Elissa Margolis, vice presidente senior di The Walt Disney Company, «crediamo che il Re Leone sia la storia perfetta per ricordarci il ruolo che ciascuno di noi riveste nel creare un mondo in cui questi maestosi animali vengano protetti e apprezzati».