il Giornale, 26 luglio 2019
Biografia di Steve Bannon
Il diavolo spesso si nasconde nei posti più invisibili. Per esempio una normale famiglia americana, quelle tipo Richard Cunningham negli Happy Days, nelle quali il benessere è avere un posto di lavoro per tutta la vita e crescere i futuri uomini della nazione. Prendiamo Marty Bannon e sua moglie Doris Anita Herr: lei è una studentessa di quelle da pubblicità, si diploma alla Western High School di Baltimora e fa parte del Club 90, nel senso che in tutti i test supera il 90 per cento; lui è un ragazzo modello, trova posto alla AT&T, «l’azienda che in quel momento rappresentava una sicurezza americana» dirà per raccontare quei tempi. Parte come posatore di cavi, finirà 50 anni dopo come middle manager. Una storia qualunque quella di Marty e Doris. Una famiglia di origine irlandese, cattolica, democratica: la vera working class americana che dopo la Seconda Guerra Mondiale rifonderà il Paese. Quando si sposano nel 1942, hanno poco più di 20 anni. E dal loro matrimonio nascono cinque figli: Sharon Anita, Martin Joseph Jr, Michael, Stephen Kevin, Mary Elisabeth. È il penultimo della nidiata quello che oggi tutti conoscono come Steve. Steve Bannon. Il diavolo, appunto.
Anno 2008: Doris non c’è più da tempo, Martin invece si gode la meritata pensione. I suoi risparmi di una vita sono stati investiti nell’azienda che gli ha dato il benessere, perché come si diceva nulla avrebbe potuto metterla in pericolo. AT&T era l’America. E, come sosteneva Warren Buffet, «gli americani devono investire nell’America». Solo che siamo nel nuovo millennio. E soprattutto è appena scoppiata la crisi dei mutui subprime, quella della finanza speculativa che ha costruito un’immensa ricchezza senza che sotto ci fossero dei soldi veri. È la bolla, è il crollo della Borsa, a catena è il disastro dell’economia mondiale. Si sbriciola tutto, anche le azioni di AT&T. E i soldi di Marty.
Il figlio Steve intanto aveva fatto carriera: laureato a Virginia Tech, master sulla sicurezza nazionale alla Georgetown University, MBA ad Harvard, ufficiale di Marina per 7 anni. E poi ancora banchiere d’investimento alla Goldman Sachs e produttore cinematografico a Hollywood. Fino a quel giorno del 2008, quando suo padre perse in un colpo 100mila dollari. Non una di quelle cifre che non ti fanno dormire la notte per i ricconi di Wall Street. Ma troppo per uno che si è fatto da solo, come tanti uguali a lui. God bless America: in quel momento Dio però presentò il conto agli avidi, che lo fecero pagare a chi stava sotto di loro. Funzionava sempre così, in fondo. Questa volta no: le Élite entrano nel mirino. Quelli che di solito non pagano mai appunto, ma che fanno ricadere le colpe «su tutti i Marty Bannon del mondo». Già. «L’unica ricchezza che aveva mio padre raccontò Steve in un’intervista era la sua piccola casa e quelle azioni. Possibile che nessuno sia stato mai ritenuto responsabile di una cosa del genere? Tutto quello che è successo dopo è cominciato quel giorno. Tutto». Era il giorno del diavolo.
Che ora ha le fattezze di un uomo grande e grosso, passato dalle filosofie zen all’alt-right, dal cattolicesimo al buddismo, dal suprematismo bianco al populismo mondiale. L’uomo sempre sul filo delle accuse di essere un simpatizzante delle idee naziste, che ha respinto perfino proclamandosi un «sionista cristiano». Perché lui sta con Israele ma non fino in fondo. E soprattutto lui stava alla Casa Bianca come consigliere di Trump, prima di votarsi definitivamente al nazionalismo economico globale. Che porta avanti spingendo i governi a ribellarsi, appunto, alle Élite. Per costruirne una più forte. E dunque, ancora: contro gli immigrati e contro la Cina, a favore di una politica che rialzi le barriere della Terra in un’epoca in cui il liberismo è stato usato a favore di pochi. E il suo programma è passato da Breitbart News (il sito della destra più radicale di cui è stato direttore esecutivo) a Cambridge Analytica, il chiavistello via Facebook che ha aperto le porte di Trump verso la vittoria alle presidenziali Usa. E tutto nasce da quel giorno in cui suo padre perse 100mila dollari. Il suo passato.
Eppure. Il quotidiano The Seattle Times nel 2017 si chiese perché quel giorno Steve non avesse avvisato suo padre, lui che di economia ne avrebbe dovuto sapere: «Marty venne preso dal panico – si legge – e vendette immediatamente le azioni crollate a 29 dollari. Oggi sono tornate a 42, bastava che gli dicesse: Papà, non vendere. E invece nulla: in fondo AT&T non aveva fatto alcunché di sbagliato, solo era finita nel mezzo di una crisi finanziaria. Serviva attendere, ma Steve invece non gli suggerì niente, per poi sfruttare la rabbia, sua e di quelli come suo padre. Così oggi non c’è nulla nel programma di Bannon che può fare l’America di nuovo grande. Ma c’è qualcosa che può scatenare la rabbia contro le persone sbagliate, possibilmente straniere. I Marty Bannon del Paese meritano di meglio». È il progetto del diavolo, in fondo basta leggere il pensiero di Steve. Per esempio: «Io sono un leninista. E come Lenin voglio distruggere lo stato». Oppure: «Il buio è la luce. Dick Cheney, Darth Vader, Satana: questo è potere». Od anche: «La paura è una cosa buona: è la cosa che ti fa decidere di agire».
Marty oggi ha 97 anni, le azioni di AT&T sono riscese a 32 dollari. Ma ormai che importa. Steve Bannon intanto gira per il mondo, dopo essere stato esautorato da Trump dal ruolo di consigliere della sicurezza nazionale, vittima del moderatismo di Ivanka e di suo marito Jared Kusher. Tutto descritto in un libro intitolato Fire and Fury, fuoco e furia. Compare in Brasile per appoggiare Bolsonaro, oppure in Europa con il suo The Movement, il movimento verso il sovranismo per il quale vuole aprire ununiversità a Viterbi. Suggerisce alla Le Pen, a Salvini, ad Alternative für deutschland. Sottovoce, in fondo la mela è sempre più facile da staccare dall’albero. Così un (altro) giorno, in Italia, dopo un vertice di governo in cui l’unica soluzione sembrava una crisi, alla fine se ne uscirono tutti d’amore e d’accordo. «Cosa è successo? confidò qualcuno -. Abbiamo visto il diavolo...».