ItaliaOggi, 26 luglio 2019
Si può lavorare meno e meglio. Intervista a Fabrizio Cotza
È un guru pentito. Lavorava per grandi società di consulenza. Ha voltato pagina e costituito Imprenditori Sovversivi, che lui definisce «un club di formazione per imprenditori dove si impara a lavorare meno e meglio». Fabrizio Cotza, 47 anni, origini sarde ma emiliano d’adozione, studi di scienze politiche, è un personaggio singolare: «Voglio convincere gli imprenditori che il loro più grande errore è passare la vita in fabbrica. Se recuperano il concetto di qualità della vita anche l’azienda andrà meglio. Debbono organizzare la gestione dell’impresa in modo da lavorare quattro giorni la settimana, nel resto del tempo debbono distrarsi, le migliori intuizioni, è provato, arrivano fuori dall’azienda. La stessa cosa vale per i manager e il personale. Bisogna ribaltare quanto le società di consulenza predicano».In effetti le società di consulenza lo considerano un traditore. Racconta: «Queste società non fanno altro che importare i modelli americani, che sono funzionali alle grandi strutture ma in realtà sono poco utili alle piccole imprese, cioè alla maggior parte del nostro tessuto produttivo, che ha problematiche diverse. Ciò che va bene per un latifondo (la grande impresa) non è funzionale a un piccolo podere. Così ho deciso di cercare una strada diversa, vado dai piccoli imprenditori e gli chiedo se vogliono diventare sovversivi. Qualcuno mi caccia, altri mugugnano ma in 200 hanno già aderito in tutto il Centro-Nord e in media entrano nel gruppo 40 imprese l’anno».
Domanda. In che modo convince gli imprenditori?
Risposta. Organizzo un incontro al mese con gli imprenditori che hanno aderito al progetto e invito i titubanti che così sentono raccontare dai loro colleghi la loro esperienza positiva. Certo non è facile scalfire il mito dell’approccio motivazionale, che è una sorta di droga utile solo per rendere più produttive le persone ma dagli effetti collaterali devastanti. Va anche sfatata la necessità di aumentare ad ogni costo il fatturato, per una piccola impresa di nicchia il traguardo dev’essere l’utile, valorizzando l’eccellenza, mentre spesso ci si massacra di lavoro per aumentare il fatturato, abbassando i prezzi, a scapito dell’utile.
D. Qual è la prima indicazione che dà a un imprenditore che sembra intenzionato a seguirla?
R. Di prendere la propria agenda e fissare un appuntamento di mezza giornata al mese con se stesso. Mezza giornata per fare quello che vuole purché non abbia niente a che fare col suo lavoro. Quattro ore di riposo, di divagazione, di evasione, lontano dalle email e dal telefono d’ufficio. Ho constatato che la maggior parte degli imprenditori all’inizio non riesce neppure a concepire di assegnarsi mezza giornata di riposo assoluto. La separazione dai propri doveri dà una sensazione di vuoto. Poi, dopo la prima mezza giornata di evasione, si accorgono di essere diventati più efficienti, che il lavoro scorre meglio, che i rapporti coi collaboratori si sono leggermente ammorbiditi. E si domandano: se di mezze giornate ne prendessi due?
D. Le sue indicazioni di lavorare meno saranno accolte con entusiasmo anche dai dipendenti…
R. Sa cosa mi confessano i manager? Non abbiamo bisogno di essere motivati ma di non essere demotivati. L’imprenditore che è sempre in azienda finisce per accentrare quasi tutto, non responsabilizza, non condivide strategie e obiettivi, non si confronta. E i suoi collaboratori diventano stanchi esecutori. Si tratta di un sacrificio collettivo che non ha senso.
D. Piccolo (e con meno lavoro) è ancora bello?
R. È indispensabile tutelare le piccole imprese, sono il baluardo della libertà rispetto all’onnipotenza delle multinazionali. Queste ultime uccidono il mercato e la libertà di scelta del consumatore. Ancora si fatica a percepirlo come un problema sociale e culturale. Il governo dovrebbe difendere le piccole imprese dall’avanzata delle multinazionali. Va capita la delicatezza del passaggio generazionale. Il modello del passato del padre-padrone non funziona più e chi prende oggi in mano le redini d’una azienda si trova spaesato. Mi permetto di dare un consiglio al ministro Luigi Di Maio: crei delle scuole per i piccoli imprenditori.
D. Gli imprenditori sui banchi?
R. Spesso conoscono le caratteristiche del loro prodotto ma non il suo valore aggiunto e non si impegnano nel marketing perché non hanno idee. Sono bravi nell’innovare e nel produrre ma non formano i collaboratori, non delegano, non coinvolgono. Così le potenzialità finiscono represse. Ma soprattutto…
D. Soprattutto?
R. L’errore tipico del piccolo imprenditore è: la mia azienda è la mia vita. Un errore tragico. L’azienda non può essere il motivo per cui uno è vivo bensì dev’essere uno strumento che permetta di realizzare uno scopo. Le svelo un segreto: lo stato di salute di un’impresa si può valutare semplicemente con l’olfatto. Ogni azienda ha un odore particolare che avverti appena entri e ti fanno accomodare in sala d’attesa. È il profumo del benessere o del tanfo da malessere che chiunque di noi può percepire se ha un minimo di sensibilità. Ci sono ambienti di lavoro acidi, in grado di corrodere il buonumore e la disponibilità delle persone. Altri sono colorati. Altri ancora glaciali. E quando incontri colui che è al vertice il più delle volte è una perfetta rappresentazione di quanto avevi avvertito appena entrato.
D. Scusi ma lei quanto lavora?
R. Quattro giorni la settimana per sette mesi l’anno.
Un pizzico di etica, un po’ di utopia, una dose di buona volontà. Il cocktail preparato da Cotza è proposto ai piccoli imprenditori. Con l’aggiunta degli spinaci di Braccio di ferro perché contro le multinazionali ci vogliono muscoli potenti e, perché no?, sovversivi.