Libero, 25 luglio 2019
L’Isis prepara attacchi con auto telecomandate
Farhad Salah non aveva nessuna intenzione di diventare un martire suicida. Quando si hanno 24 anni a Sheffield, in Gran Bretagna, magari non ci saranno così tante vergini come nel paradiso promesso da Maometto, ma non vale la pena di farsi esplodere. Tanto più che la tecnologia consente di evitare l’estremo sacrificio. Così il curdo iracheno aveva progettato un attacco mediante un veicolo senza pilota, per compiere una strage di «altri che lui considerava infedeli», spiegano i giudici in nella sentenza con cui lo hanno condannato a quindici anni di carcere. Ieri lo hanno riconosciuto colpevole di aver progettato atti di terrorismo per aver svolto una serie di test con ordigni esplosivi artigianali, in preparazione a un attentato. La fase successiva sarebbe stata quella di caricarli a bordo di un’automobile comandata da remoto per creare l’arma perfetta, il robot dello Stato islamico, da perfezionare magari in un futuro con una bomba sporca e radioattiva, in modo da spargere il panico, oltre che la morte. In effetti, con la retorica dello shahid si ottengono risultati piuttosto temporanei e con enorme spreco di risorse umane, mentre con i droni a distanza si potrebbe massimizzare l’obiettivo della jihad con il minimo sforzo. La nuova sfida, a mano a mano che le nuove generazioni di estremisti islamici fanno il loro ingresso sulla scena della guerra santa, porta con sé anche un nuovo approccio, più orientato verso l’automazione e l’innovazione. Sembra conclusa l’epoca dei camion che colpiscono a caso fra la folla. Del resto, ultimamente le reclute scarseggiano e i pochi combattenti rimasti bisogna tenerseli stretti perché il ricambio non è facile. Prima che il progetto si concretizzasse, nel dicembre del 2017, Salah, che aveva allora appena 22 anni, e un suo amico e connazionale 32enne, Andy Star, proprietario di un negozio di pesce e patatine di Chesterfield, erano stati arrestati dai reparti antiterrorismo della polizia britannica in seguito ai controlli svolti dopo l’attentato di Manchester del 22 maggio precedente, che aveva causato 22 morti durante il concerto della cantante Ariana Grande. Fuggito dal Kurdistan in guerra, Salah era arrivato nel Regno Unito nel 2014 chiedendo subito l’asilo politico, ma la sua pratica era andata per le lunghe e, nell’attesa, egli non aveva potuto arruolarsi, come desiderava, fra le truppe del Califfato. Così, a poco a poco, secondo la pubblica accusatrice Anne Whyte, la sua ossessione era divenuta sempre più quella di riuscire a fare qualcosa per l’Isis. L’anno scorso, tuttavia, la giuria non era riuscita a raggiungere un verdetto di colpevolezza nei suoi confronti. Andy Star, invece, è stato assolto sia in primo grado che in appello, benché a casa sua fossero stati trovati polvere da sparo, detonatori e sostanze chimiche utili alla fabbricazione di bombe. Avevano provato anche a espellerlo nel 2008, dopo che aveva ammesso di essere arrivato Oltremanica clandestinamente a bordo di un camion. Non riuscendo a rimpatriarlo, nel 2016 le autorità britanniche gli avevano concesso addirittura un permesso di soggiorno illimitato e lo status di rifugiato. Nulla vieta, comunque, di rivedere la decisione e di rispedirlo nel suo Paese d’origine, per evitare che la sua cucina risulti indigesta.