La Stampa, 25 luglio 2019
New York, la storia dimenticata del ghetto degli immigrati
Il legame di sangue tra Salvatrice Nigido e il bisnipote Stefano Morello ha superato come un fiume carsico un secolo. Agli emigrati italiani e a lei è dedicata la mostra «The Lung Block: A New York City Slum & Its Forgotten Italian Immigrant Community», aperta fino al 29 agosto al Department of Records di New York. A co-curarla Stefano, dottorando al Graduate Center (Cuny): «Dal ritrovamento nel 2013 del certificato di morte della mia bisnonna, datato 1920, scoprii che visse nel Lung Block, un isolato abitato soprattutto da italiani: così, ho ricostruito la vita di quella comunità attraverso foto e documenti che raccontano la storia del quartiere».
L’isolato del polmone
Lì Salvatrice visse con Salvatore Placente, militellese emigrato nel 1904 e iniziatore di una catena migratoria che coinvolse molti compaesani: a New York fondò l’associazione degli Independent Sons of Militello e lavorò alla banca La Sicilia, tramite con l’Italia. Questa storia di migrazioni coinvolge Torino, New York e Militello in Val di Catania. Salvatrice lasciò a Militello, nel 1913, la futura nonna di Stefano, il cui figlio emigrò a Torino. E da qui Stefano, dopo un Master in American Studies, ha raggiunto New York, poco ospitale con gli italiani di inizio ‘900. «La mostra contrasta la narrazione ufficiale, imposta da riformatori progressisti, ridando voce agli immigrati», dice.
Fu Ernest Poole, primo Pulitzer per la narrativa nel 1918, a coniare il nomignolo Lung Block (isolato del polmone) nel pamphlet del 1903 The Plague in Its Stronghold - La malattia (la tubercolosi) nella sua roccaforte (i tenements dove vivevano gli immigrati). Poole era un membro della University Settlement House, un movimento di riformatori sociali bianco e protestante, e un giornalista muckracker che attaccava l’establishment cittadino. Situato nel Lower East Side e già noto per bordelli e bar per marinai, nell’ultima decade dell’Ottocento il Lung Block ebbe una percentuale di tubercolosi per abitante tra le più alte in città.
Una cattiva fama
Tacendo i progressi della lotta alla malattia, Poole iniziò una campagna di stampa per convincere l’opinione pubblica ad abbatterlo. «Usando pregiudizi xenofobi e classisti, trasmise l’idea che la tubercolosi crescesse sui muri e bastasse entrare nel Block per ammalarsi nel corpo e nello spirito. Una minaccia per le classi ricche che lì si facevano confezionare gli abiti», spiega Stefano.
Influenzati da Poole e Jacob Riis, che proponeva di sostituire gli slums con spazi verdi, i riformatori non interpellarono i residenti del Block quando nel 1903 presentarono una petizione per farne un parco giochi, che non passò solo perché il sindaco Low era a fine mandato. Nonostante gli interventi edilizi e sanitari che tra 1898 e 1908 risanarono il quartiere, la sua fama negativa continuò ad aleggiare e venne sfruttata da Fred French, un imprenditore edile che dal 1927 iniziò a comprare edifici nel Lower East Side per costruire il Knickerbocker Village e - dichiarò - spazzare via i bassifondi e costruire case per i colletti bianchi di Wall Street. Il crack del 1929 lo obbligò a concentrarsi sull’area del Lung Block: nel 1932 ripubblicò il pamphlet di vent’anni prima mentre gli italiani, impoveritisi per la crisi, gli cedettero le loro case.
Così, nel 1933, sull’area del Lung Block sorse il Knickerbocker Village: «Fu una protogentrificazione: il quartiere vide l’arrivo di inquilini più ricchi, che provocarono una vera e propria sostituzione antropologica», conclude Stefano. Delle 379 famiglie del Block solo tre poterono trasferirvisi; le altre si dispersero tra New York, Pennsylvania e Italia.
Stefano Morello ha condotto parte della ricerca al Centro Altreitalie di Torino, mentre l’archivista di Militello Salvatore Pio Basso lo ha aiutato con i documenti degli emigrati; il resto lo ha reperito online e tramite il Department of Records. Il Two Bridges Neighborhood Council, comitato di quartiere della zona del Lung Block, lo ha messo in contatto con la co-curatrice Kerry Culhane; con lei ha creato un comitato scientifico con Katherine LaGuardia, docenti di università americane (tra cui il Graduate Center, dove studia) e italiane, il Calandra Italian American Institute e il Queens College Makerspace, che ha realizzato un modello 3D dell’isolato.
Pregiudizi che ritornano
«Gli italiani soffrirono gli stessi pregiudizi che vedo oggi contro i migranti, additati come capri espiatori sempre più spesso negli Stati Uniti come in Italia. Spettacolarizzare la sofferenza per influenzare gli altri, nel bene e nel male, de-umanizza le persone: ce lo insegna il Lung Block, che condensa la Storia e le storie di una città stratificata come New York», conclude Stefano, che dopo l’evento newyorkese vorrebbe far scoprire la mostra anche agli italiani: «Il materiale, creato in digitale, è stampato su pannelli facilmente riproducibili: il mio sogno è portare la mostra da noi, magari al Museo dell’Emigrazione Italiana di Roma». Per non dimenticare che dietro alle mille luci di New York c’è sempre qualcuno costretto a vivere nell’ombra: qualcuno da comprendere e non da giudicare a priori.