Corriere della Sera, 25 luglio 2019
Lo spray compie 80 anni
Siamo entrati nella modernità con in mano una bomboletta spray. Chi per annientare nuvole di insetti, chi per darsi una spruzzatina di lacca ai capelli, chi per ingurgitare un bicchiere di panna montata, chi per colorare un muro. Era ovvio che piacesse ai pittori della Pop-art la bomboletta commercializzata il 15 giugno 1939 da un tale Julian Seth Kahn negli Stati Uniti, che ebbe il merito di rendere funzionale un’idea del chimico norvegese Erik Rotheim risalente al 1926. Un contenitore pressoché immortale creato in tempo perché venisse adottato dall’esercito durante la Seconda guerra mondiale per tenere a distanza le zanzare e la malaria sul fronte del Pacifico. Per farne un prodotto da atelier gli artisti dovettero aspettare che nel 1949 Edward Seymour avesse la magnifica trovata di riempirla di vernice. Da allora lo spray è tutto: sterminatore e creatore. Da una parte il DDT insetticida e dall’altra la Gold Marilyn Monroe di Andy Warhol, realizzata di getto nel 1962, tempi in cui la latta trionfava non solo come mezzo ma anche come icona: vedi la famosa Minestra in scatola Campbell’s. Anni in cui anche i seguaci italiani si concedevano magiche spruzzate su tela: da Enrico Baj a Emilio Tadini, l’arte passava inevitabilmente dalla bomboletta spray prima che dalla matita e dal pennello.
La sua apoteosi letteraria arrivò con Philip Dick, il maestro della fantascienza, che nel 1969 elevò il nebulizzatore a immagine di copertina e a protagonista di uno dei suoi capolavori: Ubik. Titolo eponimo: perché, nel romanzo, Ubik è proprio il nome di una bomboletta spray del tutto particolare, ovvero «uno ionizzatore di ioni negativi portatile, con un’unità autonoma ad alto voltaggio e basso amperaggio…». Ma soprattutto è un mostruoso mutante che dissipandosi o agglomerandosi diventa altro, o meglio tutto, o meglio ancora Tutto, un’entità totalizzante, ubiqua e divina che si presenta così: «Io sono Ubik. Prima ancora che l’universo fosse, io ero. Ho creato i soli. Ho creato i mondi. Ho creato le forme di vita di luoghi che esse abitano, io le muovo nel luogo che più mi aggrada. Vanno dove dico io, fanno ciò che comando. Io sono il verbo (…). Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome. Io sono e sarò eterno». Una specie di Grande Fratello, un mito moderno diventato mito postmoderno, al punto che lo scrittore Jonathan Lethem ha voluto tatuarsi sul braccio proprio la copertina di Ubik.
Propiziatrice delle fantasie più disparate, da quelle sadiche a quelle cosmetiche, da quelle naziste a quelle pittoriche, visionarie, persino psichedeliche, eccola diventare, nella nostra contemporaneità, lo strumento dei graffiti e della street art erede di Basquiat. Infatti Alberto Arbasino, in uno del suoi rap, fa rimare «spray» (quelli dei «writers lodati dai critici») con «subway». Da gesto liberatorio a minaccia: la bomboletta di vernice può anche diventare il mezzo di messaggi funesti, come accade in un racconto di Primo Levi, dove il protagonista va a caccia dell’autore di una croce uncinata di color verde disegnata sui paracarri della città. Era un testo dei primi anni Ottanta contenuto nella sezione «Presente indicativo» del volume Lilìt e altri racconti: una storia ordinaria, destinata a diventare sempre più ordinaria purtroppo, viste le svastiche nere che profanano i cimiteri ebraici e i luoghi sacri della Shoah. Anche questo si deve all’invenzione del 1939.
Senza dimenticare che all’uso quotidiano polivalente e ubiquo, si è aggiunto quello della difesa personale al peperoncino. Deodorante, igienizzante, olfattiva, fragrante, purificante, terrificante, ora la bomboletta ubiqua è anche urticante. Purché non nuoccia all’ambiente e venga smaltita adeguatamente. Anche questo è «presente indicativo».