la Repubblica, 25 luglio 2019
Le riserve naturali delle stelle
A Savelli, paese della Sila, in Calabria, gli abitanti conoscono le erbe che hanno sotto ai piedi e le stelle che hanno sopra la testa. «Sanno indicare anche M31, la galassia da Andromeda. Un bagliore fioco, un oggetto da professionisti», spiega Filippo Frontera. Questo figlio di Savelli, cresciuto sotto a uno dei cieli più bui d’Italia, a furia di guardare in su è diventato professore di astrofisica all’università di Ferrara. E ha avuto l’idea di costruire per il pubblico il parco astronomico Lilio. «In tre anni di attività abbiamo raggiunto i 10mila visitatori» spiega Antonino Brosio, il responsabile. Delle 3mila stelle visibili a occhio nudo, infatti, nelle città se ne riconoscono una decina. A causa dell’inquinamento luminoso, l’ 80% degli italiani non ha mai visto la Via Lattea. «Per noi era normale trovarla in cielo, da ragazzini», ricorda Sandra Savaglio, astrofisica di fama internazionale, tornata a insegnare in quell’università della Calabria dove si laureò nel ‘ 91. «Ora parlo con i miei studenti e scopro che non l’hanno mai vista dal vivo».
Le stelle, come alcuni animali, sono in via d’estinzione. Per vederle bisogna andare in quelle “riserve naturali” che sono gli osservatori – amatoriali o professionali – aperti al pubblico in tutta Italia, in luoghi abbaglianti per la bellezza del cielo ma anche della natura. Negli ultimi quindici anni ne sono sorte diverse decine. «Il ministero ha tolto l’insegnamento dell’astronomia dalle scuole. E noi andiamo nelle classi, a raccontare la bellezza del cielo e spiegare quanta geometria, chimica, storia e mitologia contengono», spiega Jean Marc Christille, direttore dell’Osservatorio della Valle d’Aosta, a Saint Barthelemy. «Le montagne ci schermano da Milano e Torino. Abbiamo anche convinto la vallata a cambiare luci». I turisti delle stelle sono di due tipi, spiega: «Gli astrofili incalliti e le persone che al cielo non avevano mai prestato attenzione».
La prima reazione, a tu per tu con le stelle, è di disagio, per un buio che serra le membra e ha un sapore primordiale. «In una ventina di minuti gli occhi si abituano – prosegue l’astronomo valdostano – e lo spettacolo comincia, con le nuance, i colori e le volute della Via Lattea». Occasione perfetta, aggiunge Savaglio, «per fermarci e interrogarci sul mistero dell’infinito».
Anche Sabrina Masiero, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e direttrice dell’Osservatorio Gal Hassin, nel Parco delle Madonie, a nord della Sicilia, la Via Lattea l’ha incontrata da grande. «Sono cresciuta a Venezia, in mezzo alla nebbia. Il battesimo del cielo l’ho avuto all’osservatorio delle Canarie. Gal Hassin, oltre all’assonanza con la galassia, è l’antico nome del vicino paese di Isnello e vuol dire” fiume freddo”. Accanto all’osservatorio c’è un planetario, con i bambini che possono travestirsi da pianeti e danzarne i movimenti. «Una volta invitai qui i miei colleghi medici» racconta Giuseppe Mogavero, presidente della Fondazione che gestisce il Gal Hassin. «Guardarono il cielo meravigliati, poi uno di loro esclamò: peccato per quella nuvola. Era la Via Lattea». In più, prosegue Masiero, «siamo a una latitudine bassa. Da qui possiamo vedere il centro della galassia».
Se la Via Lattea è una meraviglia, il suo centro è una meraviglia al quadrato. Che però rende meglio all’emisfero sud. «Ero in Sudafrica – racconta Stefano Giovanardi, astronomo di Zètema, che gestisce il Planetario di Roma – e camminavo su un sentiero bianco. Avevo l’impressione che qualcosa mi seguisse. Il che non è rassicurante in un luogo selvaggio. Mi resi conto che era l’effetto del bulbo luminoso al centro della galassia. Vedevo l’ombra del mio corpo proiettata da milioni di stelle a 25mila anni luce». Il turismo astronomico negli ultimi anni è diventato così diffuso che l’Unione Astronomica Internazionale ha istituito una commissione per censirlo. «Noi a Firenze stiamo preparando una guida astronomica della città, sul modello di quella di Padova», spiega Alessandra Zanazzi dell’Inaf di Arcetri. «Da noi non si vede la Via Lattea, siamo vicini alla città. Ma le conferenze e le osservazioni con il telescopio storico sono sempre affollate, da anni». Dai grandi centri abitati, per incontrare un” signor cielo”, bisogna allontanarsi diverse decine di chilometri. La Via Lattea, spettacolo fragile, è il primo oggetto celeste a svanire con la luce. «Il cielo ha iniziato a rovinarsi dagli anni ‘ 70» spiega Mario Di Sora, ex presidente dell’Unione astrofili italiani e fondatore nel 1983 dell’Osservatorio di Campo Catino, una delle poche riserve delle stelle vicino a Roma. «La Luna, Giove, gli anelli di Saturno piacciono molto. Ma nulla rivaleggia con l’intero firmamento visto a occhio nudo», racconta. L’Italia rispetto alla media europea ha un inquinamento luminoso più che doppio, rivela una ricerca del 2016 su Science Advances.
A curare l’atlante mondiale della brillantezza dei cieli, fra gli altri, l’Istituto di Scienza e tecnologia dell’inquinamento luminoso di Thiene (Vicenza). Fabio Falchi, uno degli autori, spiega: «Neanche i cieli più bui d’Italia, le isole di Montecristo, Alicudi e Filicudi sono davvero indenni dall’inquinamento luminoso. Vengono raggiunte dal chiarore della terraferma, a decine di chilometri di distanza». La Pianura Padana è una delle zone meno adatte all’osservazione in Europa. In Italia i luoghi più vicini alle stelle sono Sardegna e Alto Adige. «Oggi poi c’è l’abitudine di illuminare con i fari le spiagge, soprattutto in Adriatico», aggiunge Di Sora. «Per gli appassionati del cielo, è come andare al cinema senza spegnere le luci in sala».
Finiremo allora come nel racconto” Notturno” di Asimov. Quando un pianeta costantemente illuminato da sei soli si ritrova in mezzo a un’eclisse, gli abitanti temono di impazzire, perché al buio si rendono conto di essere circondati da migliaia di stelle all’interno di un universo tanto più grande di loro.