L’unico lusso che avevamo in casa era una stufa per scaldarci. Ma siamo venuti su benissimo lo stesso». Erminia Bianchini, 111 anni compiuti lo scorso 23 aprile, è la quinta persona più longeva d’Italia, la prima in Piemonte. Originaria di San Donato di Mango, oggi vive con la figlia Ninfa a Ricca di Diano d’Alba, in provincia di Cuneo, e nonostante siano passati molti anni, ricorda ancora molte vicende della sua vita: l’abbandono della scuola dopo pochi anni, la dura vita della campagna, la paura durante gli anni della guerra. Dai suo racconti traspare una donna dolce e carica di grinta. È circondata da una famiglia allargata: quattro figli, otto nipoti, sette pronipoti e persino dieci gatti. Sebbene gli anni l’abbiamo resa più fragile, non si arrende: è lei a chiedere di passeggiare per sgranchirsi un po’ le gambe e in casa non le sfugge niente.
Come ha visto cambiare il mondo?
«Quando ero bambina io la vita era molto diversa. In casa non avevamo niente. Nemmeno la luce. Altro che telefonini, che comunque non ho mai usato. La televisione è arrivata dopo: mi ricordo che quando ho avuto mia figlia più piccola, andavamo ancora tutti a vederla in parrocchia. Era un po’ un evento. Stando in campagna, anche più avanti, si preferiva comunque stare sempre all’aria aperta. La televisione l’ho usata più che altro per informarmi: mi interessava il telegiornale, la politica».
Qual è il suo segreto?
«Adesso definirlo segreto... una vita sana, all’aria aperta. Sin da bambina ho sempre lavorato. Ci si alzava anche alle 5 per andare in campagna, poi si tornava a casa alle 8 per fare colazione e di nuovo nei campi fino a sera. Stando fuori era difficile ammalarsi. Non era come adesso. Infatti, a parte qualche aspirina, non ho mai preso medicine. Ed eccomi qua».
Come si curava?
«Per ogni malanno c’è un rimedio naturale. Preparavo i decotti usando delle erbe a seconda del problema. E devo dire che ha funzionato. Ho fatto lo stesso con i miei figli».
Ad esempio?
«Per il mal di gola non c’è niente di meglio del grasso della gallina soffritto con della camomilla. Con quello si fa un impacco con una calza di lana di pecora e il giorno dopo è tutto passato. Ma sono rimedi che ormai non si usano più. Comunque hanno sempre funzionato».
La sua dieta ideale?
«Un uovo alla coque con un po’ di sale e camomilla nel guscio tutti i giorni e un cioccolatino ogni tanto. Non mi sono mai abbuffata, ma ho cercato sempre di mangiare cose sane. Mi piace molto l’uovo fatto con il pomodoro e la cipolla: ancor meglio se accompagnato dalla polenta. E poi la carne cruda. Le verdure, le carote. Quando la vista era buona riuscivo anche a cucinare e a detta di tutti i piatti che preparavo erano anche buoni».
Come mai ha lasciato la scuola?
«Ero andata da una vicina ammalata di tifo per portarle da mangiare. Nessuno voleva farlo. E di conseguenza ho dovuto assentarmi per un mese. Quando sono rientrata mi sono resa conto che tutti i miei compagni erano più avanti di me, così ho deciso che non ci sarei più andata. Ma ho sempre lavorato e leggo e scrivo benissimo, non fosse per la vista che in questi ultimi anni mi tradisce».
Lei ha vissuto ben due guerre: ha mai avuto paura?
«Mai, nemmeno quando i tedeschi si sono presentati a casa mia con i mitra. Avevano portato via tutti gli uomini della zona: mio marito lo hanno lasciato stare perché ho dato loro da mangiare. Ma sono stati comunque degli anni difficili. Un’altra volta, sempre i tedeschi mi chiesero se avessi visto un certo giovane, lo stesso che la notte prima io e mio marito avevamo ospitato nel fienile. Li depistai: dissi loro che era andato verso San Donato e così riuscì a scappare».
Le sue passioni?
«Il ballo, dal valzer alla mazurca. E la cucina. Per il resto ho avuto una vita molto semplice: il lavoro in campagna, la casa e i figli».
Alla fine è sempre stata in salute?
«Adesso, alla mia età, anche una banale influenza può essere pericolosa, ma nel corso della mia vita ho rischiato più volte di morire. Da piccola per esempio finii in una vasca per la raccolta dell’acqua: era inverno e lo strato di ghiaccio si era rotto. Per fortuna mi salvarono. Ma Ma malattie mai».