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 2019  luglio 25 Giovedì calendario

In Italia sempre più ultracentenari

Siamo ancora i primi in Europa per longevità, con 14.456 ultracentenari registrati all’inizio del 2019. L’84% è donna. E quasi seimila hanno oltrepassato la soglia dei 105 anni. In cima alla classifica dei “superanziani” del “Vecchio continente” ci fa compagnia la Francia mentre gli altri stanno tutti dietro. È quanto emerge dal rapporto Istat “Cent’anni e non sentirli” da quale si rileva anche come in 10 anni i centenari del Belpaese sono passati da 11 mila a oltre 14 mila e quelli di 105 anni e più (il 90% dei quali sono donne) hanno fatto addirittura un balzo del 136%. Una tendenza a crescere che, secondo l’istituto di statistica, può essere spiegata in parte da un fattore genetico (che riguarda soprattutto chi ha raggiunto i 105). Per il resto, la risposta è la solita e ben augurante per chi questo traguardo non lo ha ancora raggiunto: merito della dieta mediterranea (come sottolinea pure la Coldiretti) basata su pane, pasta, frutta, verdura, olio extravergine d’oliva. Senza dimenticare il bicchiere di vino da consumare durante i pasti, un “elisir di lunga vita” secondo l’associazione degli agricoltori. Dalla ricerca dell’Istat risulta che l’85% degli ultracentenari vive con la famiglia e il 15% è ricoverato in un istituto e che la maggior parte di loro risiede al Nord. La regione con la più alta percentuale di supercentenari è la Liguria (seguita dal Friuli Venezia Giulia), la persona più longeva in assoluto è una signora di 113 anni che vive in Emilia Romagna.
Tutto bene quindi? No.
Perché la presenza sempre più diffusa della componente anziani nella società impone un potenziamento della rete assistenziale e socio- sanitaria. «È necessario organizzare e migliorare il sistema dei servizi di welfare e di sostegno – afferma l’Unione europea delle cooperative – che vedono già impegnati 350mila operatori di cooperative sociali e di assistenza che seguono 7 milioni di famiglie affiancando i servizi pubblici». Rivedere il sistema è una priorità, allora, tenuto conto che un anziano su tre, anche se in buona salute, ha gravi difficoltà a prepararsi da mangiare, fare la spesa, prendere i farmaci, pulire la casa, mentre più dell’11% ha problemi a prendersi cura di se stesso per difficoltà motorie e/o patologie legate alla senescenza: fare il bagno o la doccia, andare a letto, vestirsi. E inoltre, la rivoluzione demografica in atto, con una popolazione che invecchia sempre di più (tra meno di 30 anni saranno oltre 20 milioni in Italia gli “over 65”), porta con sè le problematiche legate alla cronicità e alla disabilità cognitiva e fisica: l’apparato socio-sanitario e quello ospedaliero (che finora ha dimostrato di reggere, anche nella qualità, pur con le sue lacune) rischia il collasso se non si ricorrerà ai ripari. È soprattutto una questione
di risorse, strutture e organizzazione: va ampliato sull’intero territorio nazionale il sistema dell’Adi (Assistenza domiciliare integrata), che alleggerisce il compito delle famiglie e dei “caregiver” privati (attualmente insufficienti a coprire le necessità di anziani che vivono in casa). Ma qui siamo agli ultimi posti tra i Paesi europei. Come nel cosiddetto “long-term care” (ricovero in strutture residenziali): l’Italia è al 14esimo posto con il 10,1% della spesa sanitaria corrente (14,9 miliardi di euro nel 2014, il dato Eurostat più recente) destinato all’attività di assistenza. La graduatoria è capeggiata da Svezia, Olanda e Danimarca che hanno fatto negli ultimi decenni dello Stato sociale un impegno prioritario.
In Italia, dunque, secondo i dati dell’Istat, esistono le condizioni per invecchiare a lungo. E questo vuol dire che tutti possiamo aspirare a spegnere le cento candeline, anche se non abitiamo nell’Ogliastra, in Sardegna, una delle “zone blu” del mondo in cui la speranza di vita è di gran lunga più alta rispetto alla media mondiale. «Possiamo invecchiare a patto di guadagnarcelo – chiarisce il geriatra Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva (la rete nazionale di ricerca sull’invecchiamento e la longevità attiva) – facendo le scelte giuste, a tavola, nello stile di vita e nelle abitudini quotidiane ». Ma anche la socialità ha la sua importanza per invecchiare bene e... a lungo. «I dati Istat – precisa lo specialista – ci dicono anche che la maggior parte dei centenari si concentra al Nord e dunque influiscono anche le regole socio-economiche». Cultura, vita sociale, servizi, sono alleati della longevità, e vanno coniderati come fattori in gioco. «I numeri ci dimostrano pure che il vero sesso forte è quello femminile – conclude Bernabei, che è direttore del dipartimento di Scienze dell’invecchiamento della fondazione policlinico universitario Gemelli di Roma –, perché le donne, anche se hanno più acciacchi, vivono innegabilmente più a lungo, anche se non sappiamo con certezza che cosa si celi dietro questo “superpotere”». Ma tra le ragioni della longevità, il professore non esclude anche il caso e la fortuna. Che, da che mondo è mondo, un certo ruolo l’hanno sempre avuto.