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 2019  luglio 24 Mercoledì calendario

Biografia di Gigi Marzullo

Gigi Marzullo (Luigi M.), nato ad Avellino il 25 luglio 1953 (66 anni). Giornalista. Conduttore televisivo. «Post-intellettuale della Magna Grecia, sponda De Mita» (Aldo Grasso). «Essere sempre se stessi è la forma più alta d’innocenza» • «Il sogno di Gigi è cominciato ad Avellino. Per l’esattezza in quel breve tratto che separa piazza Libertà da piazza Matteotti, più o meno dove sorgeva l’antico caffè Lanzara, luogo deputato alle chiacchiere e ai pettegolezzi municipali. O almeno: è qui che l’onorevole Gianfranco Rotondi, nella sua opera giovanile Trenta Irpini (Progetto, 1987), fissa la “frontiera inviolabile” dei Marzulli, il papà Gerardo e lo zio prete Michele, entrambi ardentemente democristiani e tifosi dell’Avellino Calcio» (Filippo Ceccarelli). Figlio e nipote di insegnanti elementari, definisce «predominante» il ruolo avuto nella sua formazione dal nonno, «un insegnante all’antica»: «Da lui ho imparato a leggere e scrivere». Fu lui, tra l’altro, ad accompagnarlo il primo giorno di scuola: «Prima di entrare ci siamo fermati a prendere la sfogliata al bar. Avevo 5 anni, facevo la primina». «Che bambino è stato Gigi Marzullo? “Cicciottello e timidissimo. Ora sono più magro, ma sempre introverso. Mamma e papà, insegnanti, mi hanno cresciuto con severità”» (Roberta Scorranese). Già da piccolo nutriva una grande passione per il cinema: «Entravo al primo spettacolo e rivedevo lo stesso film anche due, tre volte. In quei momenti comunicavo con il mondo e volavo con la testa». Racconta di essere stato uno studente modello fino alle medie inferiori: «Alle medie, ad Avellino, ogni anno ricevevo il premio dal Provveditorato. Al ginnasio e al liceo, un po’ meno». «Io da piccolo volevo fare il medico. […] Ho frequentato l’Università di Pisa i primi due anni, dopo di che sono un po’ cambiato: capelli lunghi, barba, volevo fare l’attore…» (a Caterina Balivo). Il sogno, però, non si concretizzò, e Marzullo tornò lentamente sui suoi passi. «“Volevo iscrivermi al Centro sperimentale di cinematografia, però studiai Medicina. Laurea e tirocinio di sei mesi”. Marzullo in ospedale tra i pazienti, in camice bianco? “Andavo tra le signore con problemi psichici ‘armato’ di un pacchetto di sigarette. Gli altri medici gliele proibivano, ma io capivo che quelle donne avevano bisogno di fumare ogni tanto. Oggi penso che sarei stato un medico molto rigoroso ma anche attento ai pazienti: li avrei ascoltati con delicatezza. Una volta Glenn Ford, alla fine di una intervista, mi disse: ‘Ma lei non deve fare questo mestiere, lei deve fare lo psichiatra’. Gli risposi: ‘Ci sono andato vicino’”. Prima dei giornali e della Rai, il terremoto dell’Irpinia. Lei dov’era quel 23 novembre del 1980? “Ad Avellino, in macchina con amici, per il corso principale. L’automobile cominciò a sussultare, e noi pensammo a uno scherzo, a gente che ci stava scuotendo il portabagagli. Poi vidi un fiume di persone in fuga, balconi che crollavano, polvere. Una tragedia. Corsi a casa. Mia madre era già per strada, mio padre stava scendendo. Dormimmo fuori per giorni. Allora decisi di andare a Roma”. Pochi sanno che prima di approdare in tv lei ha fatto tante cose. “Moltissime. Le radio libere, Tele Avellino, il Corriere dell’Irpinia, il praticantato al Mattino… Poi, nonostante fossi giornalista, un contratto da programmista regista a Rai 1, quindi un articolo due (contratto da collaboratore fisso, ndr). Poi mi sono inventato la fascia della notte”» (Scorranese). «Il giovane Marzullo abbandonò – non appena poté – la casa, gli studi e la città natale perché voleva – assolutamente voleva – fare il conduttore televisivo. “Vedrete che ci riuscirò”, diceva ai genitori perplessi. Volete che dicano di no a uno di Avellino? Aveva ragione. Avellino nell’Irpinia è una città nobilissima che ha dato i natali a personaggi illustri: Francesco De Sanctis, Guido Dorso, Dante Della Terza, Antonio Maccanico. Nonché (non vorrei dimenticarlo) Biagio Agnes, direttore generale della Rai-Tv. E Ciriaco De Mita. Come si fa a dire di no ad Avellino? Sarebbe un affronto all’Irpinia, al Meridione, all’Italia. Così Gigi Marzullo ce l’ha fatta, a diventare conduttore televisivo» (Beniamino Placido). «“Io penso di non essere un raccomandato”. Lei è entrato in televisione con le sue sole forze? Lei che è di Avellino e che è amico personale di De Mita? “De Mita mi ha segnalato. Ma poi ho fatto tutto da solo”. […] Una segnalazione di De Mita a Biagio Agnes non è mica una chiacchiera da bar… “Ma come mi sono comportato poi io? Sono stato mai fazioso? Ho usato lo spazio datomi per favorire qualcuno? No, mi sono comportato bene. […] Io lo grido e lo griderò sempre: sono amico di De Mita, e basta. Anzi, io in Rai ho dovuto faticare due volte. Prima per dimostrare che ci sapevo fare, poi per superare il pregiudizio di essere un raccomandato”. […] Quando lei ha fatto l’esame per diventare giornalista, che tema ha scelto? “Ero indeciso se fare quello di sport o quello di politica”. Qualcosa mi dice che lei ha scelto quello di politica. “Sì. Su De Mita nuovo segretario della Dc”. Ma lei è incorreggibile. “Adesso è colpa mia anche il fatto che il congresso democristiano elesse De Mita? Comunque presi il massimo dei voti”» (Claudio Sabelli Fioretti). Dopo aver debuttato nel 1983 con Forte fortissimo, su Rai Uno, e aver quindi condotto qualche altra trasmissione (Italia mia, Il mondo è tuo), ereditò nel 1988 da Vincenzo Mollica Per fare mezzanotte, che però «“andava in onda solo quando c’era spazio, cioè quasi mai. Poi lo spazio non ci fu più del tutto, e allora mi venne proposto di farlo più tardi. Così diventò Mezzanotte e dintorni, e oggi si chiama Sottovoce. Il successo di Mezzanotte e dintorni è incredibile: ho avuto mille ospiti”. Chi sono stati questi ospiti? “Tutti! Da Glenn Ford a Fanny Ardant, da Anthony Quinn al chirurgo Barnard, da Gassman a Sordi, da Feltri a Bocca, da Zeffirelli a Ferreri…”. Quali l’hanno colpita di più? “Ricordo un’intervista con Sordi, una con Glenn Ford. Tra le donne, Claudia Cardinale, Rita Levi Montalcini, Lea Massari”. Qual è stata la domanda più ripetuta? “Quella che diventò un marchio che mi dette una popolarità insperata, visto l’orario: la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?”» (Alain Elkann). Nonostante gli apprezzabili indici d’ascolto, Mezzanotte e dintorni fu chiusa nel 1993: Marzullo trascorse così «un anno sabbatico in cui non aveva condotto nulla, praticamente unica vittima del cosiddetto approccio culturale dei “professori” alla Rai. […] Vittima isolata, pure, della volontà di sgombrare l’etere dalla lottizzazione e dall’influenza democristiana (demitiana, nel caso particolare). L’Epurato Unico della nostra televisione, passata la buriana in un senso, cominciata quella in un altro, mantenuto per tutto il tempo della sospensione un dignitoso riserbo che gli ha giovato, da qualche tempo era ricomparso in sordina sugli schermi di Raitre, dove a mezzogiorno (e dintorni, naturalmente) si inseriva […] nel programma di Gabriele La Porta Parlato semplice» (Alessandra Comazzi). Tornò alla conduzione su Rai Uno nel 1994, inaugurando Sottovoce, trasmissione erede di Mezzanotte e dintorni tuttora in onda, alla quale a partire da metà anni Duemila Marzullo ha affiancato una serie di altri programmi notturni, anch’essi trasmessi su Rai Uno e dedicati al cinema (Cinematografo), al teatro (Applausi), ai libri (Milleunlibro), alla musica (Settenote) e alle vite di personaggi famosi (Testimoni e protagonisti del XXI secolo). Dal 2015 al 2019 è stato inoltre ospite fisso di Fabio Fazio, al «tavolo» di Che tempo che fa (prima su Rai Tre, poi su Rai Uno). «A proposito dei misteri e della fine della Prima Repubblica, nella prossima stagione televisiva Gigi Marzullo condurrà ben cinque programmi. Quello solito, dove fa le domande sconsiderate, quello sui libri, quello sul cinema, quello sulla musica e infine quello sul teatro. Ancora una volta, l’estremismo della mediocrità ha vinto: l’ospite fisso di Fabio Fazio, il pupillo di Ciriaco De Mita ha imposto il suo credo. […] La Rai del cambiamento e cinque programmi appaltati dal direttore del Tg1 a Gigi Marzullo! Evviva. […] Il marzullismo è il mulino bianco della riflessione, l’ultima preghiera prima del sonno della ragione. È sovranista, nel senso che viviamo in un mondo dove la somma delle nostre marzullità è maggioranza. È populista, nel senso che sottostimiamo sempre il numero dei marzullidi. Tuttavia, come sostengono Fruttero & Lucentini, a proposito di una variante del marzullismo, e come insegna il nuovo palinsesto, dileggio, sarcasmo, ironia non scalfiscono le sue cotte d’inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni» (Aldo Grasso). «“Io ci ho messo tanto a raggiungere certe sicurezze. Ecco perché oggi sono così attaccato al mio lavoro. Sono un fanatico della Rai. Ai miei collaboratori indico una chiesetta vicino all’ufficio e li esorto: andiamo a pregare e a ringraziare il Signore perché lavoriamo nell’azienda più bella. E, aggiungo: libera”. Ma tra due anni [nel 2020 – ndr] lei andrà in pensione. Come farà? “Chiederò con insistenza alla Rai di farmi rimanere a lavorare con qualche formula. Non è per soldi: io non spendo quasi nulla. È una questione di identità: il mio lavoro è la mia esistenza. Solo se, alla centunesima mia richiesta, l’azienda non cederà, allora proverò a lavorare altrove. Ma spero di no”» (Scorranese) • Da alcuni anni ricopre anche un ruolo dirigenziale all’interno dell’azienda televisiva pubblica, essendo il responsabile dell’unità organizzativa «Rubriche e approfondimenti culturali» di Rai Uno. «Tutti ridono. Ma poi tutti gli intellettuali si ritrovano da lui. Che interpreta la cultura come omaggio all’artista. Ma omaggi così articolati a viventi presentano sempre il rischio della commemorazione preventiva: rischio che Marzullo democristianamente gestisce. Lui, diventato una categoria, del video se non dello spirito. Tanto vituperato, ma il suo stile ha fatto scuola. Se si incalza un politico su problemi della collettività, è meglio non essere tanto soft. Ma Marzullo indaga sulle personalità, a lui le mode non fanno né caldo né freddo: e questo rassicura i suoi cospicui ospiti. C’è da scommettere che continueranno a fare a gara per andare da lui a “non” farsi fare nessuna domanda» (Comazzi) • Il 15 settembre 2018, indossando come sempre una delle sue camicie sartoriali a bande orizzontali chiare e scure, a coronamento di una relazione ventennale «Gigi Marzullo ha sposato la sua compagna storica Antonella De Iuliis. Il matrimonio si è svolto nel comune di Nusco, Avellino, ed è stato celebrato dal sindaco Ciriaco De Mita, da sempre amico dello sposo, nel più totale riserbo: il giornalista e conduttore televisivo Marzullo, infatti, non ha svelato la data del matrimonio se non a cose fatte. […] Alla cerimonia, molto riservata, invitati pochi amici, tra cui Flavio Cattaneo, amministratore delegato di Italo, con la compagna Sabrina Ferilli, e Adriano Galliani, ex ad del Milan [Cattaneo e Galliani erano i testimoni dello sposo – ndr]. Dopo il fatidico "sì", gli ospiti di Marzullo sono stati invitati a casa De Mita per il pranzo nuziale» (Ilaria Del Prete). «Ammetto che mi piacciono le donne, o almeno prima di incontrare Antonella mi piacevano. Mi piacciono le donne composte in apparenza ma trasgressive dentro. In tailleur e filo di perle, ma con una carica provocatoria. Non parlo ovviamente di volgarità: parlo di imprevedibilità. Però io non tradisco. Nemmeno gli amici, per non dire della mia azienda» • Nel 2003 perse il fratello minore Enzo Maria, di soli 41 anni. «Lui era uno vivace, lui voleva prendere tutto dalla vita, tutto e subito, e ovviamente godeva la sua vita, amava la sua vita, anche se, a volte, […] io gli dicevo “Ho paura della morte”, e lui invece mi diceva: “No, io a volte ho paura di vivere, non della morte”» • Tifoso dell’Avellino, da sempre • Abitudinario al limite della maniacalità. «Conservatore per indole, dedica molto del suo tempo all’abbigliamento. Ama i vestiti, ma solo se uguali. Ha detto: “Il vestito che indosso oggi è grigio chiaro. Ne ho uno identico grigio scuro. Ho un altro vestito identico blu chiaro. E un altro blu scuro”. È invece rapito dalle camicie a righe: “Una camicia a righe mi dà quel pizzico di follia e di trasgressione che mi piace”» (Antonello Caporale). «Ecco, il cellulare: un Motorola che ha la stessa età della carriera di Marzullo, trent’anni, se consideriamo Mezzanotte e dintorni prima e Sottovoce poi, programma che va in onda su Rai 1 dal 1994. Gigi, ma perché non usa lo smartphone? “Per carità. Uso solo vecchi telefonini che servono per telefonare e basta. Ma sa quanti ne ho, di questi? Dodici. Una scorta: quando ne comprai uno, capii che non me ne sarei mai separato. Ma sapevo che prima o poi sarebbero scomparsi. Allora feci riserva. Io sono così: mi affeziono e, tac, è finita”. […] Sopra tutto, la fedeltà alle cose. Stesso telefonino, stessa camicia a righe… “Se è per questo, anche parte dell’arredamento di casa mia è a righe. Ma non è tutto: ho cento paia di calzini dello stesso tipo, decine di scarpe uguali, pantaloni…”. […] “Sono un uomo difficile, tanto difficile. Per dire, a casa mia non si cucina mai”. Come sarebbe a dire “non si cucina”? “Solo forno a microonde: la cucina è chiusa, mai usata, intatta. Anche l’acqua per la pasta, la facciamo bollire nel microonde. Perché? Non sopporto gli odori molesti, non sopporto lo sporco”» (Scorranese) • «Gigi Marzullo è la tradizione, è una voce del vocabolario, è “la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?”, è le altre domande tanto vituperate da avere poi fatto scuola nei video-salotti; è la capacità di richiamare gli ospiti più succulenti, con la promessa, mantenuta, di non fare provocazioni, ma di lasciare la briglia lasca sul collo al narciso di turno» (Comazzi). «Qual è la regola d’oro dello stile Marzullo? “Non aggredire, dare la possibilità di estrinsecarsi, di esprimersi”. […] Dicono […] che lei è un Signor Nessuno, banale, inesistente… “Io devo essere un Signor Nessuno. Il Signor Qualcuno deve essere l’ospite”. Ma hanno detto anche che lei "incarna il vuoto televisivo e lo esalta"… “La televisione, non la fanno i critici. La fanno le persone che stanno davanti al televisore e gli ospiti che vengono alla trasmissione”» (Sabelli Fioretti) • «Lei è in Rai dal 1983: inaf­fondabile o inoffensivo? “Inaffondabile mi auguro di sì, ma non è detto. Inoffen­sivo non credo, perché non son pochi quelli che non mi amano. Sono normale, e la normalità, a volte, non è ac­cettata”» (Maurizio Caverzan) • «L’uomo è ostinatamente prudente: tutte le volte che ha potuto ha espresso il suo fervido apprezzamento per la dirigenza Rai, di qualunque colore politico essa fosse. Marzullo è riuscito a non biasimare nemmeno la cosiddetta stagione dei professori, durante la quale perse temporaneamente il posto. “È stato un brutto periodo perché non pensavo di meritarmi l’esclusione. Ero triste”. Tutto qui. Equivicino per vocazione (politicamente si definisce nel punto centrale di una immaginaria linea che va dal centrodestra al centrosinistra), Marzullo ha sempre praticato con lungimirante prudenza una intensa attività di pubbliche relazioni» (Caporale) • «Gigi Marzullo non è un uomo, non è un dirigente Rai, ma è una metafora col ciuffo» (Maria Novella Oppo). «Gigi appare nella sua più compiuta fissità, un monoscopio umano, pallido e rassicurante. Sorride soave, mette a suo agio l’ospite, quindi gli rivolge anche lui il suo invito: “Si faccia una domanda e si dia una risposta”. Sembra una formula inventata da qualche rovinoso pensatore situazionista. Ma così è. Pochi altri personaggi incarnano meglio di Marzullo il vuoto catodico dell’oggi, la potenza indispensabile della banalità, la dedizione sacerdotale nei confronti di un potere che vive ormai di mirabolanti rappresentazioni. Nato demitiano, ha recato in dote al berlusconismo la deriva terminale del vecchio servizio pubblico. […] Fra le virtù del personaggio c’è anche quella di non offendersi mai, di assecondare con serenità ogni canzonatura, non di rado attivando la complessa categoria televisiva dell’auto-dileggio» (Ceccarelli). «Fa la televisione che farebbe un bel bambinone pasciuto con la passione della televisione. Ne riproduce tutte le banalità, tutte le ovvietà, tutti i luoghi comuni: nei quali crede fermamente» (Placido). «È la misura di molte cose, il centro dell’universo televisivo postmoderno. Non c’è trasmissione ufficiale che non lo veda cerimoniere, non c’è personaggio importante che non ceda alle lusinghe delle sue domande. Marzullo è un massimalista del banale. Come un ragno che tesse trame di insensatezza, si è costruito la sua invitante nicchia. Le prede soccombono con la medesima voluttà con cui l’insetto cerca il vischio dolciastro della carta moschicida e, siano esse premi Nobel o sciampiste, vi si impigliano con goffaggine. Tutti accettano l’ospitalità di Marzullo perché pensano sia solo uno stordimento leggero, un cioccolatino di ovvietà, una tintura di gloria. E non si accorgono invece del marzullismo in cui precipitano. Il marzullismo è fenomeno degno della massima attenzione. Si diffonde come la gramigna, si posa sulle bocche di noti intrattenitori e sulla labbra di affascinanti salottiere, non disdegna la penna di sociologi e opinionisti. La banalità procede con sorda determinazione, esibisce un’arroganza difficile da contrastare, specie in tv. Eppure fa audience, crea proseliti, raccoglie sostenitori. Ha un solo difetto: nessuno vuole prestarle un volto, regalarle una fisionomia, accordarle fattezze riconoscibili: tutti meno uno. Fra i conduttori che ebbero il gusto e il genio della provocazione, un posto non trascurabile spetta all’avellinese. Elevando il minimo problema al rango del paradosso e alla dignità dello scandalo, doveva creare un’opera che non cessa di sedurci ed esasperarci: il suo compito è simile a quello di una levatrice che porta alla luce delle telecamere l’insulsaggine che è in noi. Più entriamo in confidenza con il marzullismo, più i nostri pensieri s’intorpidiscono; e, quando, per ridestarli, spegniamo il televisore, ci accorgiamo che la zona d’ombra avanza, garrula angoscia, callosità della mente» (Grasso). «In realtà è un genio: minimo sforzo, massima resa e costi contenuti. Per andare da lui a mostrare le foto nudi a tre mesi durante il bagnetto, illustri e sussiegosi italiani fanno la fila, si fanno raccomandare, si appostano e fingono di incontrarlo per caso, se sono belle ragazze lo corteggiano. Lui seleziona e poi riceve, l’espressione del volto indecifrabile» (Pietrangelo Buttafuoco) • «Il termine “marzullata” è stato adottato persino dalla Treccani. Indica un concetto così semplice che, a detta dei critici, sfiora la banalità. “Ma, mi scusi, secondo lei chiedere a una persona quante volte si è innamorata è un concetto banale? Io nelle mie domande tocco temi alti, come l’amore, la morte, il dolore, la gioia. Le domande sono molto profonde, poi sta all’intervistato fornire le risposte giuste. Signori, la televisione è questo”. Ma ammetterà che la televisione riduce all’essenziale anche i temi più complessi. “Mi consenta di dire che è il compito stesso della tv, e specialmente della Rai. Io non posso permettermi di parlare solo a un certo pubblico: devo arrivare a tutti. E sa che anche i giovani mi seguono, mi fermano per strada e mi chiedono le foto? Loro guardano la tv di notte e seguono Cinematografo”. Con quella trasmissione lei si è riallacciato alla sua passione, il cinema. “Mi sono trovato di fronte ai miei miti. Lea Massari, per dire. O Lisa Gastoni, che mi ha promesso un invito a cena, e io sto ancora aspettando. A Laetitia Casta e a Julia Roberts regalai i miei libri. E Woody Allen, quando gli dissi che ammiravo i suoi occhiali, me ne spedì un paio a casa pochi giorni dopo”» (Scorranese) • «Come si definirebbe Gigi Marzullo? “Esternamente tranquillo, agitato dentro. Devo media­re con ­me stesso perché l’agi­tazione non prenda il soprav­vento”. […] L’agitazione a cosa è dovu­ta? “Al pensiero della morte. Sono molto attaccato alla vi­ta che faccio, e vorrei conti­nuare a farla per centomila anni. Temo le malattie, il do­lore, ho le mie fobie. […] La morte è un’impostura: lo dico perché sono fortunato a fare la vita che faccio”» (Caverzan). «“Ho una paura pazzesca della morte. Non prendo l’aereo da vent’anni perché ho paura che precipiti. Quando non dormo con la mia compagna fatico a prendere sonno perché penso che potrei non risvegliarmi. Sto male se penso che dovrò morire e perdere tutto quello che mi sono conquistato: una trasmissione, una casa, le mie camicie a righe. Lo so, è poco. Però per me è molto, perché ho desiderato tanto tutto questo. Io farei Sottovoce su Rai 1 ancora per tremila anni. Tutte le sere. Continuerei a ripetere le stesse frasi che mi hanno reso famoso per tremila anni”. Finalmente si capisce il senso di espressioni come “La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?”, reiterate con ferma ostinazione ogni sera: sono un talismano. Una preghiera che lo fa sentire ancora vivo, un giorno in più strappato alla morte» (Scorranese) • «“La televisione deve essere una cosa seria, non un gioco. Deve avere una funzione speculativa”. Speculativa? “Nel senso che alla fine ti deve dare qualcosa. Che cosa ti danno quelli che si incazzano? Abbiamo perso la testa. E ancora di più l’hanno persa quelli che permettono si faccia questo tipo di tv”. La sua televisione che cosa è? “È la tv dei buoni sentimenti. A me piace la bontà, la giustizia. Quando vado al cinema, spero sempre che ci sia il lieto fine, dove tutti vivono felici e contenti…”. E se invece muoiono? “Se muoiono, mi dispiace. La vita è già tanto triste”» (Sabelli Fioretti). «La tv che faccio resiste da molti anni perché la gente sente il bisogno di riconoscersi in domande come le mie. E poi io mi so comportare bene. Non sono invidioso, né avido. Non amo le barche, né le auto, né le amanti costose. Al massimo, faccio una gita a Ischia con gli amici, toh. […] Sono uno che sta bene solo davanti a una telecamera. E possibilmente senza pubblico in sala. Amo lo schermo. Pensi che a casa ho un televisore in ogni stanza, anche in bagno. Guardo la tv sin dal mattino, poi ogni giorno vado in ufficio, a piedi, perché abito vicino a viale Mazzini. La Rai è la mia vita».