Il Sole 24 Ore, 24 luglio 2019
La Tav costerà all’Italia 2,48 miliardi
Non andare avanti con i lavori significa spendere più che realizzare l’opera; uno stop ci esporrebbe a tutti i costi derivanti dalla rottura dell’accordo con la Francia; c’è l’impegno dell’Unione europea ad aumentare il contributo garantito per la tratta internazionale della Torino-Lione, passando dal 40 al 50%, con la possibilità che Bruxelles possa aggiungere un ulteriore 5% perchè la Torino-Lione rappresenta un progetto binazionale. Questi gli argomenti economici che hanno imposto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte una scelta a sostegno del progetto.
I costi dell’opera
Realizzare il tunnel di base, a doppia canna, da 57 chilometri al confine tra italia e Francia costerà 8,6 miliardi di euro, un costo certificato da Telt e fino all’anno scorso in capo all’Ue per il 40%, per il 35% a carico del’Italia e per il restante 25% sostenuto dalla Francia. Il rinnovato impegno dell’Unione europea cambia la partita economica e fa lievitare la quota di Bruxelles da 3,44 mld a 4,3 miliardi. La restante parte ricade sull‘Italia per il 57,9% e sulla Francia per il 42,1. E così, alla luce del maggiore impegno di Bruxelles la quota italiana scenderebbe da 3,01 miliardi a 2,48 mentre alla Francia toccherà pagare 1,81 mld invece che 2,15.
I costi del passo indietro
Altra partita è quella dibattuta da mesi e su cui ieri Conte ha detto parole chiare, e cioè quanto costerebbe all’Italia fare un passo indietro rispetto ad un progetto ormai esecutivo, coperto politicamente da un trattato internazionale Italo-francese e sostenuto materialmente dalla Ue che con il Grant Agreement del 2015 ci ha già investito 813 milioni. Il primo a fare una stima dei possibili costi – non si parla in senso stretto di penali – è stato Paolo Foietta, ex commissario di Governo per la Torino-Lione, secondo cui tra costi diretti, intesi come fondi da restituire a Francia e Ue, risorse per mettere in sicurezza i cantieri esistenti e fondi per ripristinare lo stato dell’ambiente laddove si sono realizzate le gallerie geognostiche e i lavori preparatori, e indiretti, derivanti da un potenziale contenzioso, l’Italia rischiava di dover garantire fino a 2,5 miliardi di euro. Una valutazione sulle possibili spese derivanti dalla scelta di rinunciare al progetto l’avevano in realtà tentata anche gli esperti del ministero delle Infrastrutture incaricati di lavorare alla analisi Costi-benefici, studio accompagnato da una relazione tecnico-giuridica che fissa alcuni paletti, a cominciare da una quota pari a un massimo di 1,3 miliardi di risorse da restituire, alla quale, specifica la relazione, si si dovrebbe aggiungere un ulteriore somma a titolo di risarcimento «per lo scioglimento di contratti in corso per servizi d’ingegneria e lavori» e non facilmente quantificabile in fase preventiva.