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 2019  luglio 24 Mercoledì calendario

Boris Giuliano e i soldi della mafia

«Le senti le scaglie di cioccolato che si mischiano con la ricotta?». Tutti quelli che amano quel gioiello che è «La mafia uccide solo d’estate» di Pierfrancesco Diliberto hanno avuto una fitta ricordando i quarant’anni passati dall’uccisione di Boris Giuliano. In una delle scene indimenticabili, infatti, c’è appunto il capo della Mobile di Palermo che prima di uscire dal Bar Lux, dove pochi secondi dopo sarà ammazzato da Leoluca Bagarella, fa assaggiare al bambino un Iris, il dolce battezzato in occasione della «prima» dell’Iris di Pietro Mascagni. Dalle ricostruzioni del delitto torna a emergere la ragione principale per cui il grande poliziotto che si era specializzato in Virginia, all’Fbi, fu ucciso: era un nemico della mafia ed era stato il primo a seguire la pista dei soldi. A mettere il naso nelle banche, nei conti correnti, nelle cassette di sicurezza. Partendo da alcuni assegni trovati nelle tasche di Giuseppe Di Cristina, capomafia di Riesi ucciso l’anno prima, assegni che avevano portato a un prestanome di Michele Sindona. Aveva violato insomma, mi spiegò un giorno il primo presidente della Regione Siciliana Giuseppe Alessi, due comandamenti mafiosi. Fondatore della Dc siciliana, convinto che Salvo Lima («lo spiegai pure a Andreotti») fosse «sicuramente mafioso ma non un delinquente» perché «mafioso è una parola a due facce. Era una volta il più bello dei complimenti», Alessi ce l’aveva con Giancarlo Caselli: «Pessimo magistrato. Fa la guerra alla mafia. Anche Chinnici voleva far la guerra alla mafia. Ma i giudici non devono fare le guerre. La mafia non ha mai ucciso chi rispetta la legge. Ma non accetta che un poliziotto o un giudice forzino le leggi per fare la guerra». Spiegò così le motivazioni dei mafiosi per far fuori uomini come Boris Giuliano. E chi citò? Salvatore Giuliano: «Me lo scrisse lui: “Io sono un bandito e quindi è ovvio che violo la legge ma i giudici sono giudici e non la devono violare...”».