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 2019  luglio 23 Martedì calendario

Cresce ancora la fame nel mondo

Una persona su nove sottoalimentata. Una su quattro in stato di insicurezza alimentare. C’è un’urgenza che fa poco rumore, ma che si aggrava anno dopo anno: la fame nel mondo. Secondo il rapporto annuale Sofi «Lo stato della sicurezza alimentare nel mondo», pubblicato il 15 luglio da diverse agenzie delle Nazioni Unite (Fao, Oms, Unicef…), oltre 820 milioni di persone, ossia il 10,8% della popolazione mondiale, nel 2018 risultavano sottoalimentate. Un numero che continua a salire dal 2015, a dispetto dell’obiettivo fame zero che la comunità internazionale si era prefissata entro il 2030.Il numero di persone sottoalimentate è così tornato ai livelli di dieci anni fa. Una sfida importante per il prossimo direttore della Fao, il cinese Qu Dongyu, che ai primi di agosto prenderà il posto del brasiliano José Graziano da Silva. Tanto più che nell’ultimo rapporto la Fao ha messo a punto un nuovo indicatore che misura l’insicurezza alimentare. Mentre infatti la sottoalimentazione è calcolata secondo un rapporto calorie/dispendio energetico, l’insicurezza alimentare è una nozione più ampia che fa riferimento all’accesso regolare a cibo sano, equilibrato e nutriente: le persone colpite fanno dei compromessi sulla qualità della loro alimentazione con conseguenze in termini di carenze nutritive, sovrappeso e obesità. «Questo rapporto mostra che il problema è ben più vasto della sola questione della fame e che anche livelli moderati di insicurezza alimentare hanno effetti sulla sanità pubblica», ha detto a Le Monde Cindy Holleman, economista alla Fao e coautrice del rapporto.
La Fao distingue due livelli di insicurezza alimentare: quella severa, che si sovrappone in gran parte alla nozione di fame e riguarda il 9,2% della popolazione (un po’ più di 700 milioni di persone); e quella moderata, che implica compromessi sulla qualità dell’alimentazione e concerne il 17,2% della popolazione, ossia 1,3 miliardi di persone. Sommando i due livelli, l’insicurezza alimentare tocca il 26,4% della popolazione, circa 2 miliardi di persone. La malnutrizione può assumere diverse forme, come l’anemia nelle donne in età riproduttiva (la carenza di ferro accresce il rischio di mortalità materna e può essere alla base di ritardi di crescita nel bambino) o il ricorso a un’alimentazione a buon mercato e di minore qualità. In numerosi paesi si combinano sottoalimentazione e sovrappeso o obesità, fattori che aumentano in tutte le regioni del mondo e provocano 4 milioni di decessi ogni anno, secondo il rapporto.
Paradossalmente le principali vittime della fame sono le popolazioni di contadini, agricoltori e lavoratori giornalieri. I tre quarti delle persone che soffrono la fame nel mondo vivono infatti in zone rurali. La situazione più allarmante si registra in Africa, con un aumento della sottoalimentazione in quasi tutte le subregioni continentali. I tassi aumentano anche in America latina e Caraibi, con un’esplosione in Venezuela, dovuta all’instabilità economica e politica del paese. L’insicurezza alimentare tocca invece tutti i continenti, compresi i paesi più ricchi: nel 2018 ne soffriva il 9% di europei e nordamericani.
All’origine di fame e malnutrizione ci sono la povertà e le disuguaglianze sociali. Ma i paesi nei quali la fame aumenta di più non sono quelli più poveri, bensì quelli a medio reddito, fortemente dipendenti da importazioni ed esportazioni. Il rapporto mostra che oltre la metà (il 54%) dei paesi in cui la sottoalimentazione è aumentata negli ultimi anni è dipendente dai mercati internazionali delle materie prime, principalmente alimentari. «È la prima volta che una correlazione di questa ampiezza viene messa in risalto», osserva Valentin Brochard della ong CCFD-Terre solidaire. «Si tratta della diretta conseguenza della politica condotta a partire dagli anni novanta sulla specializzazione di alcuni paesi nelle monocolture agricole, come il cacao in Costa d’avorio, il cotone in Burkina Faso, l’olio di palma in Indonesia e Malesia o la soia e il mais in America latina». Specializzandosi, questi paesi hanno reso fragile la propria struttura economica, trovandosi così più esposti alla volatilità dei prezzi. «Alla luce di questo rapporto è evidente che il nostro sistema agricolo è portatore più di svantaggi che di soluzioni nella lotta contro la fame», aggiunge Brochard. «Occorre restituire carattere territoriale a sistemi agricoli durevoli, al servizio della sicurezza alimentare e strutturati attorno alla sovranità delle popolazioni».