ItaliaOggi, 23 luglio 2019
La grande filosofa ungherese Ágnes Heller è morta nuotando a 90 anni nel lago Balaton
A differenza di suo padre, sterminato ad Auschwitz nel 1944, Ágnes Heller s’era salvata. Purtroppo l’altro giorno, a 90 anni compiuti, ha rischiato troppo: sul lago Balaton ha voluto fare una nuotata, ma non è tornata a riva. Nell’Ungheria occupata dai russi aveva iniziato i suoi studi col più illustre filosofo marxista: György Lukács, profondo pensatore e insieme abile opportunista nei pentimenti, di fronte alle critiche che gli rivolgeva la cultura sovietica. La reazione che seguì la rivolta ungherese del 1956 la mise in disparte nell’università. Intanto aveva cominciato il suo itinerario di superamento del marxismo. La rivolta di Praga del 1968, che condivise insieme con Vaclav Havel, la portò ad accogliere quel primato dei bisogni vitali, che la contestazione studentesca stava imponendo in Occidente.Cominciò quel suo insegnamento in nazioni tradizionalmente democratiche (Australia, Canada, New York, dove ricoprì la cattedra che era stata di Hannah Arendt), che la condussero a considerare come primari non più i bisogni materiali del marxismo, ma i desideri individuali e qualitativi della «qualità della vita», che il capitalismo promuove, ma non è in grado di soddisfare (cfr. La teoria, la prassi e i bisogni, 1978). Sulle necessità economiche e sulla lotta di classe avevano vinto le esigenze della vita quotidiana, che tanto ammirava nei contestatori (cfr. Sociologia della vita quotidiana, 1975). La vera rivoluzione, ora, non è più quella proletaria, che dovunque ha prodotto il totalitarismo, ma quella degli hippies con la loro controcultura.
Marxista, negli anni Ottanta non lo era più, era divenuta «liberal» radicale e apostola dell’amore libero. Al posto della famiglia nucleare monogamica, la Heller valorizza le comuni e la famiglia aperta (cfr. Teoria dei sentimenti, 2016). Il marxismo, con la sua filosofia della storia, appartiene a quelle «grandi narrazioni» che oggi sono inattuali, anche perché sono fallite dovunque e la loro realizzazione si è tradotta in totalitarismo e perdita della libertà. Ma fece anche peggio. Di fronte alla invasione dell’Islam in Europa, forse anche in nome della radicata tradizione secolare dell’Ungheria contro l’Islam, essa indicò nella minaccia jihadista un nuovo nazismo da combattere senza limiti (cfr. Europa, 2017). Tanto che i pochi nostalgici del marxismo e della sinistra le voltarono le spalle.
L’ultima sua battaglia fu contro il presidente del suo paese. La Heller aveva cercato di aprire il marxismo alla democrazia, ma ben presto si accorse che tutta la tradizione liberaldemocratica è oggi in crisi dovunque in Occidente: «La società delle classi si è trasformata in società di massa con interessi atomizzati. I partiti storici sono in crisi, non trovano più interessi di classe da rappresentare e difendere, non riescono più a reperire ideologie capaci di trovare consenso. I valori tradizionali non hanno più influenza».
Oggi i nemici della democrazia non sono più fascismo, nazismo e comunismo. Stanno trionfando in Occidente tendenze nazionaliste, evidenti, secondo lei, nel «bonapartismo» di destra di Viktor Orbán, con la sua democrazia illiberale e il suo sovranismo, forma per ora moderata di nazionalismo. Il suo giudizio su Orbán è spietato: «È un dittatore, che non ha avuto bisogno di instaurare una dittatura, ha occupato le istituzioni e asservito gli oligarchi. L’ho chiamato tiranno perché decide tutto, pur senza sistema politico tirannico. Non vuole distruggere l’Europa, vuole impadronirsene per sfasciare le sue istituzioni e cancellare i valori costitutivi dello Stato di diritto».
Forse le cose sono un po’ diverse, come mostrano i suoi concittadini che tanto lo stimano e lo votano. E che alle elezioni europee hanno dato alla sua Unione civica ungherese (Fidesz) il 56 % dei voti. Ma Orbán non ha fatto mucchio con i sovranisti, ma è rimasto collegato al Partito Popolare. Profondamente europea (Paradosso Europa, 2017), era innamorata dell’Italia. Da un suo viaggio a Firenze nacque L’uomo del rinascimento (1963): «Nelle vie, nelle chiese, nelle case e nei palazzi di Firenze ho incontrato il sogno di un mondo adeguato all’uomo. Tre città-stato simboleggiano la nostra cultura europea: Gerusalemme, Atene e Firenze».