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 2019  luglio 23 Martedì calendario

L’ingegnere lucano dello sbarco sulla Luna

Come immagino abbiano fatto tutti, anche io ho visto in tv e letto sui giornali mille rievocazioni epiche della conquista della Luna, alla quale peraltro assistetti mezzo secolo fa grazie alla Rai. Avevo 26 anni e mi emozionai all’impresa che sembrava un sogno di mezza estate. Però devo ammettere che i ricordi dell’evento, per quanto ben riproposti, sono stati tutti privi di suggestioni. Frasi fatte e ripetute mille volte, solite facce, condite con la retorica giornalistica sfoggiata dai professionisti del memorialismo, non mi hanno affascinato. Replicare all’infinito gli stessi concetti alimenta la noia e non aggiunge nulla al risaputo. Eppure, rovistando tra le mie sudate carte ho rinvenuto un elemento che, per quanto trascurato o citato di striscio, mi ha impressionato, cosicché desidero rendervene partecipi. Il nostro pallido satellite parla italiano, sissignori. L’uomo fantastico che diresse la missione nello spazio non era tedesco come Von Braun, genio assoluto, ma un oscuro benché fenomenale studioso figlio di lucani emigrati negli Stati Uniti, cioè l’ingegner Rocco Anthony Petrone, nato nello Stato di New York il 31 marzo 1926. I suoi genitori erano povera gente, talmente in miseria da essere costretti a lasciare il paesello, Sasso di Castalda, provincia di Potenza, per recarsi in America nella speranza di sopravvivere all’atavica fame della Basilicata. Il babbo fu subito assunto quale operaio ferroviere e la mamma nel ruolo di guantaia in una fabbrichetta locale. Poiché la sfiga non perde mai di vista gli indigenti, il papà muore in un incidente e lascia soli la moglie e il bimbo, Rocco, lo stesso nome del patrono di Sasso. Una tragedia infernale. L’orfano – so cosa vuol dire esserlo da piccoli – per aiutare la madre disperata si adatta a portare di casa in casa il ghiaccio, dato che i frigoriferi erano di là da venire. Raccatta qualche dollaro utile ad arrotondare la modesta paga della genitrice. Il carattere del ragazzo si rivela già in questo commovente episodio. Poi diciamo che i terroni non hanno voglia di sgobbare.

L’ACCADEMIA MILITARE
Rocco cresce secondo l’educazione rigorosa della mini-famiglia e non appena raggiunge la maggiore età entra trionfalmente, per meriti di studio, nell’Accademia militare dove senza intoppi si laurea. Non gli basta. Frequenta un corso difficile e ottiene un master prestigioso in ingegneria meccanica. Votazione mostruosa. Accede immediatamente alla Nasa, accolto con ogni guadagnato onore. E ci dà dentro con il lavoro. Non gli serve molto tempo per scalare i vertici della organizzazione spaziale e distinguersi per abilità e profondità scientifica. Il nostro lucano non fatica a prendere in mano l’intera Nasa che si affida a lui per crescere e predisporsi al grande salto. L’ingegnerone non sbaglia un colpo, mette a punto il piano di lancio e i tognini che lo assistono stanno ai suoi ordini quali scolaretti. Trascorrono alcuni anni e Rocco si impadronisce degli ambiziosi programmi statunitensi e predispone ogni cosa affinché vengano eseguiti alla lettera. Vietato sbagliare: lassù nel vuoto ogni errore può costare non solo il fallimento dell’impresa ma anche la vita di tanti esseri umani fiduciosi nella tecnica spaziale marcata Lucania. Viene quasi da ridere pensando che un individuo così grigio eppure dotato di ingegno e temperamento abbia mandato in cielo, con successo, una spedizione ancora oggi considerata miracolosa. Un aneddoto, dato che il capintesta era lui, Petrone, e non altri: questi un bel giorno si accorse che uno dei fornitori di materiale delicato tendeva a prenderlo in giro, ed egli lo ripagò afferrandolo per la giacchetta e buttandolo fuori, in puro stile montanaro, direi bergamasco, dal suo ufficio nonché dall’azienda. 

AMMIRAZIONE E STIMA
La sua attività professionale, apprezzata da chiunque, inclusa la presidenza degli USA, proseguì per lustri, e l’allunaggio fu la sua consacrazione. Tuttavia, trattandosi di un tipo schivo e scontroso, egli preferì rimanere nell’ombra, senza mai darsi delle arie, e a forza di nascondersi fu quasi dimenticato malgrado i suoi risultati. La Luna comunque è roba sua, roba terrona. Egli ha riscattato l’Italia e specialmente la Basilicata dove l’olio di gomito si spreca e l’intelligenza spesso si sottovaluta. Rocco è stato ed è un mito e io, polentone, mi inchino davanti a lui, invitando i miei colleghi a fare altrettanto. È vissuto fino a 80 anni nonostante fosse piagato da diabete mellito, quello che colpisce i giovani. Ha combattuto eroicamente persino la malattia. Impossibile non ammirarlo. Viva la Lucania. Ancora oggi, e siamo nel 2019, i metodi di lancio in uso nelle basi da cui decollano le missioni sono i medesimi, quelli approntati dal nostro connazionale. Non mi sembra poco.