il Fatto Quotidiano, 23 luglio 2019
Ritratto di Andrea Romano
Esprimiamo sincera solidarietà al deputato Andrea Romano, minacciato di morte da uno dei tanti intellettuali contemporanei che pascolano allo stato brado sui social. Direttore di niente, e cioè della webzine clandestina Democratica, Andrea Romano ha dato ampio risalto al vile messaggio del simpatico detrattore, che gli chiedeva conto – si fa per dire – di uno dei tanti episodi controversi che ne caratterizzano la garrula vita. Il Romano, con quella sua simpatia diuturnamente straripante, avrebbe giorni fa insultato la parlamentare M5S Francesca Businarolo perché incinta e – dunque – secondo lui non in grado di presiedere la Commissione Giustizia. Romano ha negato tutto e non c’è motivo di non credergli, perché anche in sincerità somiglia a Matteo Renzi.
Certo, il Romano poco o nulla dice quando le minacce di morte cadono addosso a chi mal tollera. Per esempio il sottoscritto, che prima e dopo il 4 dicembre 2016 registrò una sfavillante collezione di insulti e minacce di morte nell’indifferenza pressoché totale piddino-renziana, secondo la quale – come noto – in Rete i soli che insultano sono i grillini mentre chi ha il poster in camera di Renzi (oltre a esser scampato a Basaglia) è un fiore di campo. Pazienza: da queste parti la solidarietà non si nega a nessuno, e quindi neanche a Romano.
Per nostra fortuna, nonostante l’odioso oltraggio subìto, il Romano vive ancora e lotta in mezzo a noi. È stato pure decisivo nel portare Renzi alla Marsilio Editore, contribuendo così alla nascita di un testo di successo. Il dato è certo rimarcabile, non tanto per la letteratura (il libro fa mediamente orrore all’intestino tenue), quanto perché è forse la prima mossa vincente – negli ultimi 123 anni – di questo ameno trasformista livornese. Di recente il Romano, con mossa tardo situazionista, ha parlato in russo alla Camera dei Deputati: intendeva provocare Lega e Salvini. In effetti il Romano conosce bene il russo, avendo a lungo studiato a Mosca per approfondire la formazione del sistema stalinista. Un sistema che, peraltro, sembra guidarlo nella sua assai obliqua visione democratica.
Romano non ha mai fatto nulla di rilevante e mai la farà: anche per questo è renziano. Con sadismo efferato, ha ucciso tutto quel che ha toccato. Era dalemiano, e D’Alema è imploso. Credeva in un futuro politico di Montezemolo, e quello neanche ha avuto il tempo di vivere un trapassato prossimo. Si è poi reinventato montiano, salvo poi ammazzare anche lui. Quindi è diventato più renziano di Renzi, conducendolo – va da sé – al subitaneo trapasso. Il suo bacio (della morte) è come un rock: se disgraziatamente vi incontrasse per strada e vi dicesse di stimarvi tanto, state pur certi che di lì a poco verrete licenziati, lasciati e pure zimbellati da Nardella. Dove passa lui non resta niente e, al massimo, crescono i Migliore: Genny Migliore, l’altro gran fiancheggiatore pretoriano che presidiava col Romano le tivù durante gli anni tremendi del renzismo rampante.
Dotato di un acume politico paragonabile a quello di un Tabacci tramortito da labirintite furiosa, nel 2007 il Romano lasciava intendere che Grillo non avrebbe avuto futuro in politica: un altro Fassino contemporaneo. Oggi che non se lo fila nessuno, elemosina attenzioni minori e lancia strali a caso. Nel suo crepuscolo congenito, incarna da sempre e per sempre il peggio del peggio della politica. Finché nel Pd ci sarà lui, e gente come lui, in tanti (pur detestando Salvini e trovando sempre più impalpabili i 5 Stelle) non voteranno mai e poi mai Pd. Qualcuno, più prima che poi, lo faccia sapere a Zingaretti.