il Fatto Quotidiano, 23 luglio 2019
Un bilancio sul Reddito di cittadinanza
Passati cinque mesi dalla partenza del reddito di cittadinanza – le prime domande risalgono a marzo – è tempo di bilanci. Il bicchiere è mezzo pieno, ma anche mezzo vuoto. La parte fallimentare è quella delle politiche attive: siamo ancora a zero, la riforma dei centri per l’impiego non è partita, lo scontro sulle competenze con le Regioni ha prodotto lo stallo temuto, alcuni governatori come Vincenzo De Luca arrivano a boicottare il progetto rifiudandosi di destinare i “navigator” assunti alle mansioni previste, cioè a incrociare domanda e offerta di lavoro per aiutare i beneficiari del sussidio a trovare un posto. Mesi di dibattito sulle offerte obbligatorie da accettare, vicino o anche lontano da casa, per ora sono stati inutili: di offerte non ce ne sono.
Anche il decisionismo di Luigi Di Maio nell’imporre il professore del Mississippi Mimmo Parisi alla guida dell’Anpal, l’Agenzia delle politiche attive del lavoro che deve gestire i navigator, si è rivelato controproducente. Parisi ha ottenuto ottimi risultati negli Stati Uniti sviluppando una tecnologia per aiutare i disoccupati a capire quali competenze mancano loro per essere appetibili. È stato poi un utile consulente di Di Maio nella fase di progettazione, ma con la sua nomina all’Anpal si è trovato imprigionato in logiche burocratiche italiane che lui, negli Stati Uniti da decenni, non padroneggia. E soprattutto si è arrivati al risultato paradossale che il Parisi presidente dell’Anpal non può usare la tecnologia e le competenze del Parisi professore del Mississippi senza esporsi ad accuse di conflitti di interessi o, peggio, senza forzare le procedure per gli appalti. Tutta l’efficacia anti-povertà del reddito di cittadinanza, quindi, è per ora affidata alla mera erogazione del sussidio mensile.
Da questo punto di vista il bicchiere, pur con molti limiti, è mezzo pieno. Nella fase di avviamento non ci sono stati grossi intoppi, anche la distribuzione delle card da parte delle Poste è filata liscia, e il numero di persone coinvolte è significativo. In base ai dati diffusi ieri dall’Inps, le domande complessive sono state 1,4 milioni. Sulla base della dimensione media di ogni famiglia stimata ai tempi dell’approvazione della legge – 2,75 membri – questo equivale a dire che dietro quelle domande ci sono 3,85 milioni di persone. Parecchie. Le domande accolte finora sono quelle di 895.220 nuclei familiari, che equivalgono a circa 2,4 milioni di persone. Certo, la quota dei rifiuti è sorprendentemente alta per una misura e potrebbe indicare che i paletti sono troppo stringenti e poco chiari, visto che comunque il grosso delle domande passa dal filtro preliminare dei Caf. Ma il numero assoluto di chi riceve il sussidio è alto.
Le polemiche sugli importi troppo bassi non sembrano fondate nei dati: la media a nucleo familiare risulta, anche ora che il numero dei beneficiari è ampio, di circa 500 euro al mese. Quasi tre volte il Rei, lo strumento precedente al reddito. E chi prende poco è perché è vicino alla soglia che permette l’accesso al beneficio.
C’è poi la questione dei risparmi: la spesa 2019 sarà inferiore a quella prevista. Questo certifica il fallimento? No, secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), l’autorità indipendente sui conti. La relazione tecnica alla legge stimava l’accoglimento di 1,3 milioni di domande all’anno, l’Upb dice che col ritmo visto fino a maggio (ogni mese il 20 per cento in meno del mese precedente) si arriverebbe a 1,25 milioni. In realtà i dati di giugno indicano un calo più sensibile, le domande sono crollate da 187.723 a 99.678. Chissà se c’entra lo spartiacque delle elezioni europee.
Comunque, il grosso del risparmio che si registrerà nel 2019, pari a 1,2 miliardi, si deve semplicemente al fatto che le domande arrivano scaglionate e chi comincia a ricevere il sussidio a settembre, nel 2019 lo prenderà soltanto per quattro mesi, mentre se lo avesse richiesto ad aprile lo avrebbe incassato per nove. Ma nel 2020 la spesa andrà a regime e arriverà intorno ai 5,6 miliardi previsti. Quando saranno disponibili i dati sul 2019 si capirà se questo investimento è servito e se almeno il numero di poveri assoluti è diminuito.