La Stampa, 23 luglio 2019
L’opera a Macerata rischia e vince
Allora «Si può fa-re!», come strillava Gene Wilder in Frankenstein Junior. S’intende l’opera all’aperto sena cadere nella solita modalità turistico-kolossal-che ci frega tanto l’importante sono le voci. Prendete lo Sferisterio di Macerata. Meraviglioso stadio per il giuoco del pallone di Leopardi, con i suoi palchi neoclassici e un soffitto di stelle, da un paio di gestioni a qui offre cartelloni importanti e stimolanti, insomma pensati, con tutto un contorno di incontri, feste, iniziative, notti bianche e chiassi varii che riescono a coinvolgere il pubblico locale e a fidelizzare quello d’importazione. Risultato: il Mof, Macerata Opera Festival, è diventato uno di quelli che è bene non perdere.
Carmen rischiosa
I suoi capitani coraggiosi, Luciano Messi sovrintendente, Barbara Minghetti direttrice artistica, Francesco Lanzillotta direttore musicale, si prendono i loro rischi. A volte, troppi. Com’è successo con la Carmen inaugurale. Lanzillotta e il suo regista, Jacopo Spirei, hanno deciso di fare la Carmen vera, quella di Bizet, non il suo clone rusticano cui si è affezionati in Italia. Lanzillotta impagina quindi un’opéra-comique ironica e mozartiana (Carmen è il Don Giovanni dell’Ottocento), «leggera» e francesissima. Riapre tagli, come la pantomima di Moralès (Stefano Marchisio, bravissimo), recupera qualche parlato, alleggerisce le sonorità, insomma fa una Carmen raffinatissima. Ma, come dire?, un po’ astratta. Perché rifiuta ogni compromesso col luogo, che per quanto di ottima acustica è pur sempre un teatro all’aperto, e col pubblico. E poi lo stile dell’opéra-comique è sparito a Parigi, figuriamoci a Macerata, e i cantanti o non sanno recitare o lo fanno in un francese modello «Noio vulevan savùar». Tanto più che la regia è irrisolta. Benissimo sbarazzarsi del ciarpame turistico da Andalusia tutto compreso e sostituirlo con spogliarelli da Crazy Horse. Nei primi due atti, «a numeri», la rivista funziona; nel terzo no e nel quarto il finale, pur bellissimo, fa irrompere sul red carpet di Cannes una critica sociale acuta ma non adeguatamente preparata. Carmen, Irene Roberts, è a suo agio sia nel canto che in guêpière, e Valentina Mastrangelo è una solida Micaëla. I maschietti però risultano sottotono. Escamillo, in particolare, induce una volta di più a tifare per il toro.
Plebiscito per Verdi
Successo plebiscitario, invece, per i due Verdi, il Macbeth di Emma Dante e il Rigoletto di Federico Grazzini. SuperEmma declina la Scozia barbarica nella sua solita chiave mediterranea e ancestrale: Re Duncano come Cristo deposto, foresta di Birnam di fichi d’India, scheletri di cavalli in arrivo dall’Apocalisse. Le streghe profetizzano partorendo: bellissimo, da nessuna parte c’è più futuro che nel grembo delle donne. Quanto a Grazzini, il suo è uno dei Rigoletti più autenticamente verdiani mai visti: piazzato non in un Rinascimento da sussidiario delle medie ma cercando il grottesco scespiriano di Hugo in un luna park abbandonato e trucido di periferia, fra battone e cortigiani che sculettano come negli show tivù. Magnifico.
Poi, tripla smentita per i profeti di sventura melodrammatica. Prima: ci sono ancora i direttori che sanno fare Verdi. Francesco Ivan Ciampa e Giampaolo Bisanti raccontano le sue storie con ritmo, piglio e senso del teatro. Seconda: sì, ci sono pure le voci. Rocciosa quella di Saioa Hernandez per la Lady, più faticosa ma di grande intensità quella di Roberto Frontali per Macbetto (più il lusso di Alex Esposito debuttante in Banco). In Rigoletto, il mongolo Amartuvshin Enkhbat si conferma titolare della voce baritonale più clamorosa degli ultimi anni, e adesso ha anche imparato a dare un senso a quel che canta. Gli tengono bravamente testa Claudia Pavone e un tenore sfrontato e spericolato come Enea Scala (uno strip anche per lui, par condicio). E allora, terza smentita, l’opera è viva e vegeta, ancora riflessione e festa, condivisione e identità, tutto insieme appassionatamente fra le vecchie pietre di Macerata, quest’Italia di provincia che pare minore ed è la migliore.