La Stampa, 23 luglio 2019
Il film horror di Pupi Avati
Il diavolo, stavolta, veste i panni sdruciti dei contadini Anni 50, nascondendosi nelle tonache dei preti e nelle suore che dovrebbero guidarli verso il bene e invece non lo fanno, posseduti come sono da un senso della fede arcaico e punitivo. Abita, sotto mentite spoglie, in una parte dell’Emilia «poco battuta, che, per ragioni obiettive, non ha potuto modernizzarsi» e che Pupi Avati ha scelto come sfondo, ma in realtà anche come personaggio principale, del film che segna il suo ritorno all’horror: «E’ una storia che mi appartiene profondamente. Da quando avevo 14 anni ed ero chierichetto professionista, ricordo bene quel tipo di cattolicesimo superstizioso, da favola rurale, così come mi è rimasta impressa la paura atavica del buio, comune a tutti gli uomini, a iniziare da quello di Neanderthal». Basato sull’omonimo romanzo del regista (pubblicato da Guanda) Il Signor diavolo non sceglie scorciatoie, si apre con la sequenza raccapricciante di una neonata aggredita in culla dal maligno e si chiude con un urlo di terrore: «Ho scelto di raccontare la vicenda attraverso un genere che gli autori italiani hanno per molto tempo trascurato, convinti, nella loro schizzinosità ombelicale, che la descrizione di quello che succede a loro sia sempre più interessante. Io, invece, ho praticato il genere con sfrontatezza, anche se i produttori italiani vogliono solo commedie, realizzate sempre con gli stessi attori».
Squadra di interpreti
In gran forma, polemico e sanguigno come sempre, Avati è affiancato dal fratello produttore Antonio e dalla squadra degli interpreti, da Gabriele Lo Giudice, l’ispettore del Ministero Furio Momentè cui è affidata la spinosa indagine, a Filippo Franchini, sullo schermo Carlo Mongiorgi, il ragazzino che, in seguito alla morte dell’amico del cuore, finisce per sfidare il diavolo e subirne le conseguenze, da Lino Capolicchio, il sacerdote Don Zanini, a Gianni Cavina, il sagrestano: «Nell’epoca in cui è ambientata la storia, preti e suore rappresentavano la sacralità, intesa, però, in modo pre-conciliare. Erano figure considerate competenti in materia di male e di demonio. Le omelie avevano un carattere minaccioso, ricordo bene il pulpito da dove venivano pronunciate e la sensazione precisa che il prete le dicesse guardando proprio me. La mia creatività nasce dalla paura». Eppure, continua l’autore, il diavolo ha resistito al tempo, ed è tuttora vivo e attivo tra noi: «Non siamo riusciti a debellarlo, anzi, ci siamo distratti e gli abbiamo permesso di sopravvivere. Io stesso ne sono portatore, nessuno di noi può essere considerato insospettabile, mi sembra che sia per tutti una condizione attuale».
IL Veneto della Dc
Nel film (dal 22 agosto in oltre 200 sale, che, potrebbero, si augura a Antonio Avati, arrivare a 300) l’affermazione del male, legata all’uccisione di Emilio (Lorenzo Salvatori), creduto diavolo in carne ed ossa e per questo ammazzato con un colpo di fionda da Carlo, è legata a una necessità politica. Nel Veneto del ‘52, roccaforte inespugnata della Democrazia Cristiana, non poteva in alcun modo succedere che uomini di chiesa finissero processati in tribunale: «Occorreva un movente - spiega Avati -, per questo nella narrazione la politica ha un ruolo fondamentale. L’ispettore Momentè viene inviato in una zona dove la Dc ha un elettorato fortissimo che non deve essere, per nessuna ragione, indebolito. Ricordate quel detto? "nell’urna Dio ti vede e Stalin no". Oggi uno slogan così se lo sognano, non ne hanno mai trovato uno migliore».
Della storia dell’opera, realizzata a 3 anni di distanza dal Ragazzo d’oro, fanno parte anche miracoli e rinascite: «Con gli Avati ho girato 9 film - dichiara Lino Capolicchio -, devo molto a Pupi, sono tornato a lavorare con loro dopo aver visto la morte in faccia, ho avuto un tumore, pensavo di non farcela, e invece oggi sono qui». Per Massimo Bonetti (il giudice Malchionda) tornare a recitare è stata l’occasione per ribadire la sua vitalità d’interprete: «Sono stato spremuto come un limone, poi, a un certo punto, non mi è stata più offerta alcuna possibilità, e questo perchè qualcuno, a Rai Fiction, ha detto che doveva andare così». Dopo Il Signor diavolo, Avati è pronto per la nuova avventura: «Ne parliamo dal 2001, c’è una sceneggiatura in essere, e, nel 2021, prenderà il via il progetto su Dante Alighieri. Tutti lo conoscono, ma nessuno ha mai raccontato la sua straordinaria vicenda umana».