Corriere della Sera, 23 luglio 2019
Nibali e il Tour visto dal fondo. Intervista
Cinquantadue chilometri di ritardo dalla maglia gialla: a tanto ammonta l’ora, 17 minuti e 50 secondi che separano Vincenzo Nibali (53°) da Julian Alaphilippe dopo la 15ª tappa del Tour. Mai, nei 22 grandi giri finora disputati, il siciliano è stato così indietro in classifica. Vincenzo emerge dalla stanza dell’albergone della sua Bahrein in un pomeriggio di caldo feroce. Ha saltato anche la sgambata del giorno di riposo. I francesi si esaltano per Alaphilippe e Pinot, noi siamo in ansia per il più forte ciclista italiano degli ultimi 50 anni.
Che succede, Vincenzo?
«Quello che doveva succedere. Ero venuto per puntare a qualche tappa: io due grandi giri di fila da leader non li reggo. La squadra mi ha chiesto di fare classifica. Ho obbedito e mi sono sfiancato. Ora se vado in fuga mi spengo: sono umano».
E se non avesse dovuto fare classifica?
«Mi sarei staccato il primo giorno. Tutto sarebbe stato diverso».
Perché la Bahrein non ha rispettato l’accordo?
«Chiedetelo a loro».
Non sappiamo a chi. Il nuovo manager designato dagli emiri (l’inglese Ellingworth) non è arrivato, il vecchio (Copeland) non c’è.
«Chi comanda? Boh. Comandano in due o tre. Non è una situazione semplice, manca una guida. Nel ciclismo serve un capo unico, che capisca di ciclismo. Io ne ho avuti tre: Ferretti, Amadio, Vinokourov. Funzionava».
Cosa può non funzionare in una situazione simile?
«Che per accontentare lo sponsor ti mandino dieci giorni in ritiro invernale su un’isoletta croata senza strade per allenarsi».
Quando ha firmato con Bahrein sapeva a cosa andava incontro.
«Questo è vero».
Il suo compagno Dennis ha abbandonato il Tour a metà delle 12ª tappa, senza ragione.
«Rohan è saltato di testa, tipo “Un giorno di ordinaria follia”. Magari su tanti aspetti tecnici lui aveva ragione ma ci ha rimuginato troppo sopra. Nel ciclismo non bisogna pensare troppo altrimenti lo stress ti uccide ma nemmeno poco perché non è professionale».
Per un fuoriclasse rimanere al Tour anche a 50 km dai primi è professionale?
«Sì. È un modo per testare i propri limiti, approfondire la capacità di soffrire. Non ho virus, non ho febbre. Perché devo tornare a casa?»
Stare in coda è riposante?
«No. Sono andato in fuga e quando il gruppo mi ha raggiunto ero cotto, bollito. È stata dura».
Com’è il Tour in coda al gruppo?
«Non ero in coda (ride): i velocisti erano cinque minuti dietro. È una prospettiva diversa. Stavo con Matteo Trentin e alla base della salita scorgevamo i primi, lontanissimi. Mi ha detto: “Noi siamo abituati a vederti lì, buffo averti a fianco”. Inversione di ruoli».
In definitiva, non è triste.
«Affatto. Mi riposo e preparo la seconda parte di stagione. Poi il 2020 mi stimola: ci sono Olimpiade e Mondiali su percorsi che pare mi si addicano».
E i grandi giri? È troppo vecchio per fare classifica?
«Questa cosa del “troppo vecchio” mi fa impazzire. In che senso? E rispetto a cosa? Resto a casa senza correrli? Ma se due mesi fa sono arrivato 2° al Giro a 1’ dal vincitore. Sono invecchiato in due mesi? Quando sarò troppo vecchio, lo decido io».
Chi vince questo Tour?
«Se saprà gestirsi, Alaphilippe. Domenica ha perso qualche secondo ma ha una condizione straordinaria. Alternative? Pinot e Thomas a pari merito».