Corriere della Sera, 23 luglio 2019
Heater Parisi si racconta
Il suo primo ricordo in Italia è la Nutella spalmata sul pane. «Per noi americani, al tempo, era stranissimo. Ero abituata al Peanut Butter, la crema di arachidi che mangiavamo con la marmellata». I suoi miti venivano dal mondo del cinema. «Sono sempre stata appassionata di film: andavo a guardarli anche tre volte alla settimana, da sola con il mio pick up, al Drive In di Sacramento. Ammiravo Sophia Loren, Gina Lollobrigida e Marcello Mastroianni: li avevo visti ne La Ciociara, in Come September, in Otto e mezzo e La dolce vita». Dei parenti materni a Terravecchia, nel Cosentino, conosceva poco. «La prima tappa la feci in Sardegna, con i miei amici della Stanford University».
Sapeva di avere talento. «Baryshnikov mi voleva a tutti i costi in pianta stabile nella compagnia dell’American Ballet Theatre di New York e a 12 anni avevo vinto una borsa di studio al San Francisco Ballet senza aver sostenuto, unica nella storia dell’accademia, alcuna audizione, ma semplicemente con la fotografia di un mio développé!». Quello che Heather Elizabeth Parisi non si aspettava, quando è arrivata in Italia nel 1978, appena diciottenne, era di apparire fin da subito come un’aliena. Ce lo racconta via email da Hong Kong, dove vive con il compagno Umberto Maria Anzolin e con i gemelli che hanno avuto insieme nel 2010, Elizabeth e Dylan, per lei arrivati dopo Rebecca Jewel Manenti (25 anni) e Jacqueline Luna Di Giacomo (19). «Venivo guardata come un’aliena, forse per via degli occhi azzurri o per via dei capelli lunghi fino al sedere, per la mia esuberanza o per il mio accento. Questo mi faceva sentire ammirata e mi affascinava».
Regina incontrastata della tv degli anni Ottanta e Novanta, oggi ripensa al primo decennio trascorso nel nostro Paese con tenerezza. «C’era gioia di vivere ed entusiasmo, e sincera ammirazione per chi veniva da un mondo diverso. C’era voglia di copiare stili di vita nuovi, c’erano rispetto e curiosità». La prima casa in cui visse a Roma era a Porta Pia. «Abitavo con la fotografa Vittoria Amati». Quando il successo esplose, non fu facile. «Ero inseguita in continuazione e per sfuggire all’abbraccio troppo caloroso dei fan dovevo nascondermi nei negozi: soffro di agorafobia e la folla mi mette paura». A Milano e a Napoli era diverso. «Lì i fan erano come guardie del corpo e mi proteggevano se mi spostavo per la città: li chiamavo i miei pretoriani». L’ammiratore più generoso lo incontrò a Napoli, negli anni Novanta. «A ogni recita di Letto a tre piazze, con Zuzzurro e Gaspare al Teatro Diana, mi faceva recapitare in camerino la mozzarella di bufala, le ciambelle e un mazzo di fiori».
Ha capito di aver «spaccato» durante Fantastico 1. «Ogni mercoledì ero in copertina sui giornali. Più scrivevano di me e più la gente mi cercava e più la gente mi cercava e più scrivevano di me. Era come un volano di notorietà che sembrava non finire mai. Ricordo che una mattina il giornalaio dietro a Corso Sempione mi disse: “Sei più famosa di Papa Wojtyla, non ho mai visto nessuno così popolare come te”». Con quel successo, adesso si sente «pari e patta». Perché ha pagato un prezzo. «Mi ha dato fama, visibilità e tranquillità economica, ma mi ha tolto, per tutti gli anni della carriera, la possibilità di avere rapporti umani veri e sinceri. Troppa ipocrisia e opportunismo e ne ho sofferto molto».
Il primo cantante che ha imparato ad amare è stato Lucio Battisti. «Ascoltavo Una donna per amico in continuazione, in maniera maniacale: tutte le persone che frequentavo ne erano ossessionate! Purtroppo è forse l’unico artista italiano di quel tempo che non ho avuto la fortuna di incontrare». Dei «suoi» Fantastico, ha bellissimi ricordi di quelli con Beppe Grillo e con Celentano. Ma se deve dire qual è il personaggio che ha conosciuto e che le manca di più, il nome è uno solo: «Corrado. Un vero signore, ricco di umanità, con una ironia sottile e mai volgare, educato, umile e intelligente. Nessuno come lui, né prima né dopo».
Città del cuore: Venezia. «Quando cammino per le calli, specie nelle giornate di pioggia, sono convinta di vivere nel ‘700». Piatto italiano che le riesce meglio: risotto. «Rigorosamente preparato con il brodo di gallina!».