Corriere della Sera, 23 luglio 2019
La guerra Iran-Usa ormai è cyber
Gli arresti di spie in Iran nei momenti di tensione sono un classico, quasi come le evoluzioni dei pasdaran sui loro barchini lungo il Golfo Persico. Un po’ perché la Repubblica islamica è oggetto delle attenzioni di molte intelligence, un bersaglio di una guerra segreta fin dalla sua nascita. Lungo i suoi confini estesi e all’interno. Ma, al tempo stesso, le notizie di questo tipo rientrano nella tattica degli ayatollah di denunciare «complotti» organizzati da governi stranieri in concomitanza con crisi internazionali. Ora è la volta delle petroliere bloccate, del duello con gli inglesi. Dopo la rivoluzione toccò ad uno tra i più stretti collaboratori dell’imam Khomeini, anche lui mandato sul patibolo perché ritenuto colluso con il Grande Satana.
Dunque Teheran ha annunciato l’arresto di 17 persone accusate di collaborare con la Cia, alcune delle quali sono state condannate a morte. Una retata diluita nel tempo, durante i primi mesi del 2019 e ribadita in queste ore per sottolineare che lo scudo è solido. Vedremo se usciranno prove che dimostrino la fondatezza delle rivelazioni.
Nella ricostruzione ufficiale le «talpe» lavoravano in siti sensibili e si incontravano con emissari statunitensi – compresa una donna – a Dubai, snodo di traffici, affari e spionaggio. Da questa grande piattaforma gli apparati sicurezza occidentali tengono d’occhio il nemico mentre i mullah sfruttano una presenza storica. È una «stazione» formidabile, popolata da 007 appartenenti a Stati e mercenari dell’intelligence. Si vende e si compra di tutto.
Ognuno muove pedine, gruppi armati, infiltrati. Alcune fazioni sono utilizzate solo per tenere sulla corda i pasdaran, a loro volta i guardiani mobilitano gli alleati locali. Pochi giorni fa un misterioso drone ha bombardato una base di una milizia sciita in Iraq, i sospetti vanno da Israele agli Usa.
Washington ha probabilmente intensificato non solo la sorveglianza con satelliti/velivoli ma anche l’attività cyber. Da tempo il comando che si occupa di questo fronte ha condotto una gigantesca mappatura dei sistemi iraniani, una lista di target da colpire al momento opportuno. E non si tratta solo di obiettivi militari. È uno strumento che può consentire una risposta proporzionata e misurata, senza provocare un incendio devastante. Come ha affermato di recente il capo dell’intelligence militare statunitense, Robert Ashley, «l’Iran non vuole la guerra e non la vuole nessuno perché sarebbe disastrosa».