Huawei, l’azienda che ha fondato nel 1987, è l’emblema dell’ascesa hi-tech cinese. Trump la accusa di spionaggio e la vorrebbe bandita anche in Europa. Lui è il nemico pubblico numero uno, sua figlia Meng Wanzhou agli arresti domiciliari in Canada («Non ha commesso reati, aspettiamo la sentenza che sarà trasparente»). Così dopo anni di totale riservatezza l’ex ingegnere dell’esercito comunista, giacca azzurro pastello, scravattato e determinato, ora parla ai media «per salvare la società». Promette risposte franche, e le dà: «Il governo cinese ci vieta di installare backdoor (le cosiddette “porte di servizio”, che consentono di intervenire anche segretamente sul software, ndr) nei nostri apparati, e anche se lo chiedesse mi opporrei, ma quello che temono davvero gli Stati Uniti è di essere loro a non poterle più avere». Pure troppo franco: questa stoccata in mandarino sparisce nelle trascrizioni dell’intervista in inglese e italiano che fornisce più tardi la società.
Il governo americano è pronto a bloccare le forniture verso Huawei di microchip e software prodotti negli Usa, le vostre ali rischiano di riempirsi di buchi. Siete in grado di rendervi indipendenti?
«Lo siamo già. Abbiamo iniziato riparando i buchi relativi alla rete 5G e al suo “nucleo”, ora sono tutti coperti. Nel complesso le falle erano circa 4300-4400 e entro la fine dell’anno dovremmo aggiustarne il 93%. Avremo impatti sui conti anche il prossimo anno, ma dal 2021 ricominceremo a crescere».
Il vostro nuovo sistema operativo Hongmeng è dedicato all’Internet delle cose. Avete invece un’alternativa a Android di Google da installare suglismartphone, visto che potrebbe essere bloccato?
«Aspetteremo che Google ottenga l’approvazione del governo americano (per rifornirci, ndr).
Rispettiamo e sosteniamo l’ecosistema e la tecnologia di Google».
Non sarebbe meglio aprire un negoziato con gli Stati Uniti?
«Gli Stati Uniti ci hanno fatto causa e noi abbiamo fatto causa a loro. Comunichiamo usando strumenti legali e credo sia il modo migliore, visto che l’America è uno Stato di diritto».
Washington fa pressione sugli alleati europei, tra cui l’Italia, perché escludano Huawei dalle reti 5G, ma finora con poco successo. State vincendo la battaglia d’Europa?
«L’Europa è una seconda patria per noi, importantissima, per questo ci abbiamo investito molto.
Diversi operatori lavorano con noi da 20 anni e nonostante la pressione degli Stati Uniti continuano ad acquistare apparati Huawei. Questo dimostra la loro fiducia. L’Italia e la Germania hanno proposto di introdurre degli standard di cybersicurezza uniformi in tutta Europa, validi per tutte le aziende. È una misura giusta. Huawei ha affrontato i controlli più rigidi del mondo e finora non è emerso alcun problema; credo che anche le altre imprese siano disposte ad accettarli».
Ad aprile a Pechino ha incontrato il presidente del consiglio Giuseppe Conte. Come è andata? Nell’attuale maggioranza di governo ci sono voci critiche nei vostri confronti, il vice premier Matteo Salvini ha detto che “i dati sensibili devono restare in mani italiane”.
«L’incontro con il premier Conte è stato molto amichevole, ha mostrato una fiducia entusiastica verso di noi. Comprendo chi manifesta dubbi, anche in Cina alcuni ci mettono in discussione. Ciò che conta è la nostra capacità di lavorare bene».
Se il governo dovesse usare un “golden power” per bloccare i vostri dispositivi ritirereste gli investimenti annunciati nel nostro Paese?
«L’applicazione del “golden power” renderebbe fare business in Italia più complicato. Ma se questa legge non trova difetti nei nostri prodotti non li può bloccare, quindi ho molta fiducia».
Se il Partito comunista o il governo cinese chiedessero a Huawei di installare delle backdoor, lei avrebbe un potere di veto?
«Certo, e opporrei senza dubbio il veto. Se davvero installassimo backdoor falliremmo e resterei qui da solo a ripagare i debiti. Ma diversi esponenti del Partito e del governo hanno ripetuto chiaramente che le aziende cinesi non devono farlo. Noi siamo pronti a firmare delle intese “no backdoor” con tutti i Paesi».
Finora in Europa i dispositivi Huawei sono stati usati quasi solo nella parte periferica della rete e in maniera limitata nel “core”, il suo nucleo. La situazione cambierà con la rete 5G?
«La premier inglese May ha detto che il Regno Unito avrebbe acquistato Huawei solo per le parti periferiche della rete 5G: ha senso, visto che i pacchetti di dati non vengono aperti finché non arrivano al “nucleo”, solo lì si pongono questioni di sicurezza. Ma per costruire il 5G “stand alone”, l’architettura più avanzata che aumenta la velocità di caricamento dei dati e supporta servizi “business” come l’industria connessa e la guida autonoma, ci vogliono i nostri nuovi apparati “core”. Siamo gli unici al mondo che li offrono. Di recente anche i parlamentari britannici lo hanno riconosciuto».
Dunque per il vero 5G non resta che citofonare Huawei. Ma mettersi nelle mani di un solo fornitore, indipendentemente da chi sia, non è una pessima strategia?
«La decisione spetta comunque ai singoli Stati e operatori. Il nucleo della rete è essenzialmente software, credo che anche Nokia, Ericsson e Cisco faranno bene. Se l’Europa ha preoccupazioni può aspettare finché loro non lo forniranno. Ma il nucleo e la periferia lavoreranno comunque collegati in serie, non in parallelo, quindi se una parte si rompe salta tutto il sistema».
Huawei era presente anche sul mercato delle reti 4G. Perché il 5G ha sollevato così tante preoccupazioni per la sicurezza?
«Quando il mondo usava il 3G o il 4G, gli Stati Uniti avevano un ruolo importante nell’industria e avevano delle backdoor negli apparati con cui potevano raccogliere informazioni di intelligence. Il governo cinese invece ci ha vietato di installare backdoor, tutti voi potete controllare se le abbiamo. Quindi ciò di cui gli Stati Uniti sono preoccupati è che nell’era del 5G, se Huawei domina il mercato, diventi difficile per loro avere quell’intelligence.
Quale sarebbe altrimenti il danno per la sicurezza dell’America, visto che lì non vendiamo apparati, né vogliamo farlo?».
Il reale obiettivo degli Stati Uniti è evitare il sorpasso tecnologico della Cina?
«Non lo so, bisognerebbe chiedere a loro. Ma penso che anche nei prossimi decenni resteranno il Paese più potente del mondo dal punto di vista scientifico e tecnologico».
Perché ci dovremmo fidare di Ren Zhengfei, descritto da Trump come un “principe del male”?
«Ora che mi ha visto le sembro un “diavolo”? Nessuno lo è, anche Trump è un leader eccellente. La storia dimostrerà che i Paesi che daranno fiducia a Huawei otterranno risultati notevoli».