La Stampa, 23 luglio 2019
Storia di Beethoven e di suo nipote Karl
Il Titano che sfida il destino; il Genio con lo sguardo puntato verso l’assoluto; l’artista che affida alla sua arte l’utopia di unire tutti noi nel segno dell’umanità e della fratellanza: queste le immagini prevalenti quando pensiamo alla musica di Beethoven. La realtà della sua esistenza privata racconta altro. Beethoven è stato un disabile, un non udente. Ha iniziato a soffrire di questo handicap verso i trent’anni, non ne è mai guarito, sempre peggiorando. Una condizione che ha profondamente mutato il suo carattere: «Nato con un temperamento ardente e vivace e portato anche ai divertimenti della società, ho dovuto presto isolarmi e trascorrere la mia vita in solitudine... Sono costretto a vivere come un esiliato»: così, a 32 anni, scrive nel Testamento di Heiligenstadt, documento imprescindibile per conoscere l’angoscia provocata in lui dalla sordità.
Questo terrore della solitudine è il motivo principale della lunga serie di processi che lo hanno contrapposto alla cognata Johanna, vedova del fratello Carl e madre dell’unico nipote, Karl Beethoven, di cui Ludwig – che non ha avuto figli, né mogli – vuole diventare tutore. La vicenda s’inizia nel 1815, quando muore Carl. Lascia un bambino di 9 anni che si chiama – solo la consonante iniziale è diversa – come lui, Karl, e una moglie mai accettata da Ludwig. Nel testamento il fratello aveva raccomandato «più comprensione a mia moglie e più moderazione a mio fratello». Invano.
«Valide ragioni»
Il 28 novembre 1815 Beethoven si rivolge al Tribunale di Vienna e dichiara che è «in grado di produrre valide ragioni per escludere completamente la vedova dalla tutela». La «valida ragione» è il mese passato da Johanna agli arresti domiciliari in seguito al furto di una collana di perle. Due mesi dopo la prima sentenza: Beethoven è nominato unico tutore del ragazzino, che a febbraio viene spedito in collegio. Johanna, alla quale il tribunale ha impedito di vedere il figlio, tenta di incontrarlo travestendosi da uomo e corrompendo i domestici di Ludwig: ne aveva uno soltanto, uno alla volta, perché nessuno riusciva a resistere a lungo al suo servizio.
Il rapporto zio-nipote è aspro e presenta aspetti ossessivi. Ludwig affitta un appartamento vicino al collegio, assiste alle lezioni di Karl, al quale scrive: «Io sono il bottone dei tuoi pantaloni». Oppure: «Purtroppo tuo padre – o meglio ancora: non tuo padre». Il 3 dicembre 1818 Karl elude la sorveglianza e scappa dalla madre. La polizia lo riprende e riporta dallo zio. Johanna intanto ha appellato la prima sentenza, sostenendo che la sordità di cui soffre Beethoven rende impossibile il dialogo con suo figlio e la comprensione delle sue esigenze. Lui contrattacca: «Signori dell’Imperial Regio Tribunale, non bisogna prendere a pretesto la mia sordità come tenta di fare la madre di mio nipote: tutti sanno che la comunicazione con me non è impedita dall’imperfezione del mio udito».
Dialogare con Beethoven non era facile. Bisognava scrivere su quelli che oggi chiamiamo i Quaderni di conversazione, dove sono raccolti appunti, riflessioni, domande dei suoi interlocutori. Molto frequente la presenza di Karl: «Mi lasci uscire oggi? Ho bisogno di svago. Tornerò più tardi. Voglio solo andare in camera mia. Non vado fuori, voglio soltanto rimanere solo per un po’ di tempo. Mi lasci andare in camera mia?». La convivenza con lo zio era diventata un incubo. La corte di Vienna legge questi appunti e nel 1819 ribalta il giudizio: «Il ragazzo ha dovuto subire i capricci di Beethoven, è stato portato avanti e indietro da un collegio all’altro. Pertanto la sua tutela viene affidata alla madre e a un uomo onesto e capace», individuato in un funzionario comunale.
«Una madre bestiale»
Beethoven è furente: «La cosa migliore sarebbe abbandonare Karl completamente al suo destino. Ormai è un perfetto birbante». «Da Karl neppure una riga, nient’altro che malevolenza. Il veleno pestilenziale che gli ha instillato la sua bestiale madre lo infetta nel profondo».
In quegli anni Beethoven è, assieme a Rossini, il compositore più celebre al mondo, ma a differenza di Rossini non è ricco. Gli avvocati costano, lui però non demorde e nel 1820 – l’anno in cui Johanna si risposa – muovendo le proprie conoscenze negli ambienti dell’aristocrazia e della stessa famiglia imperiale, chiede un nuovo processo e presenta al Tribunale un documento di 48 pagine che rimane il suo più lungo scritto autografo. Usa toni violenti: «Informazioni sulla signora Beethoven – Subito dopo la morte di mio fratello cominciò ad allacciare intimi rapporti con un amante e la sua condotta offese perfino la verecondia del figlio innocente. La si poteva trovare in tutte le sale da ballo e ai festeggiamenti, mentre a suo figlio mancava perfino il necessario. Una donna corrotta, estremamente falsa, dedita in sommo grado all’ipocrisia». Ad aprile la corte d’appello assegna in modo definitivo il ragazzo, ancora minorenne, a Beethoven e a Karl Peters, alto funzionario di corte. Ludwig ha conquistato la tutela del nipote, non il suo affetto.
Karl si iscrive all’Università, poi al Politecnico, grazie ai sussidi dello zio affitta una casa assieme a compagni di studio. Nel luglio del 1826, quando ha vent’anni, vende il suo orologio d’oro, compra due pistole, raggiunge il castello di Rauhenstein, un luogo a 40 chilometri da Vienna caro allo zio, e si spara. Rimane ferito gravemente, ma si salva. La polizia lo interroga: «Ho tentato di uccidermi perché lo zio mi tormentava. Sono diventato peggiore perché lui voleva rendermi migliore». Gli amici che incontrano Beethoven in quei giorni lo descrivono così: «Sembra improvvisamente un uomo di 70 anni».
Karl guarisce, inizia la carriera militare e prende servizio in un reggimento dell’Impero di stanza in Boemia. È lì quando, a fine marzo 1827, giunge da Vienna il dispaccio che gli annuncia la morte di Ludwig. Parte subito, ma non arriva in tempo per assistere agli imponenti funerali. Nominato erede universale dei pochi beni lasciati dallo zio, vivrà fino al 1858, abbandonando l’esercito per diventare funzionario civile. Avrà quattro figlie femmine e un maschio, che chiama Ludwig. Tra i suoi appunti troviamo questa riflessione, destinata allo zio: «Il solo modo di amarlo era rimanergli distante». —