La Stampa, 23 luglio 2019
Ventimila chilometri di binari
In tutto sono 20 mila chilometri di binari, difficile tenere sotto controllo l’intera rete ferroviaria italiana e proteggere di più e meglio i cavi per la trasmissione dei dati che garantiscono il controllo del traffico e che inevitabilmente devono correre lungo la linea. «Telecamere? Ne abbiamo molte nei grossi nodi – ha spiegato ieri il direttore per la circolazione di Rete ferroviaria italiana, Daniele Moretti – Però la rete è immensa e quindi credo che sia impossibile poter controllare complessivamente tutto il Paese».
Però basta poco è tutto si blocca. «Ma succede così ovunque», notano gli esperti del settore, ricordando che a solo a fine giugno nel modernissimo Giappone è bastata una lumaca per mandare in corto circuito una centralina elettrica e bloccare 30 treni dell’alta velocità. Ad andare a fuoco ieri all’alba, bloccando 4 binari dove di norma passano ben 30 treni all’ora, proprio grazie alle tecnologie andate fuori uso, sono state tre «canalette» dove passavano cavi di rame e fibra ottica dedicati alla trasmissione dati, canalette di norma coperte da lastre di cemento che possono essere rimosse solo con l’impiego di un piede di porco. Detto questo l’incendio doloso di Rovezzano ha messo in luce un possibile nuovo punto debole di Rfi, una rete che di fronte a eventi come quello di ieri mette subito in sicurezza i passeggeri, andando in autoprotezione e fermando immediatamente la circolazione dei treni (con tutti i disagi conseguenti), ma che al tempo stesso è esposta come qualsiasi altra infrastruttura, elettrica o di tlc, agli attacchi esterni.
Le contromisure
«Si può sempre fare di più e meglio per proteggere la rete – spiegano da Rfi – ma di fronte a migliaia di chilometri di ferrovie bisogna anche valutare i costi degli interventi che si possono mettere in campo». Questo non toglie che da subito verrà presa in considerazione la possibilità di adottare nuove misure di sicurezza. Un po’ come è stato fatto per arginare il flagello dei furti di rame che a lungo ha creato problemi alla circolazione dei treni in varie parti d’Italia. In quel caso Rfi, che mantiene contatti praticamente quotidiani con le forze dell’ordine, di fronte al ripetersi degli eventi ha individuato le zone più a rischio, attivato pattuglie dedicate e introdotto sistemi di videosorveglianza a protezione delle zone e degli impianti più sensibili.
A scatenare gli incendi di ieri, filtra dalle Fs, non è ovviamente bastata una cicca di sigaretta. Spetterà all’autorità giudiziaria chiarire tutta la dinamica ma è facile immaginare che per danneggiare cavi di quel tipo servisse ben altro. E va da sé che chi ha deciso di attaccare quei tre pozzetti non si è mosso a caso ma sapeva cosa stava facendo. «Mantenere i pozzetti accessibili serve per le ispezioni o in caso di guasti», spiega Dario Zaninelli, ordinario di sistemi elettrici per i trasporti del Politecnico di Milano. «Se ne hanno attaccati tre è perché sapevano che in questo ambito è prevista una certa ridondanza e così facendo erano sicuri di paralizzare la linea. Più protezione? Certo, ma non si può moltiplicarla per mille: di fronte a certi eventi forzati ci sono poche difese».
La miglior difesa? Il dialogo
Bruno Della Chiara esperto di sistemi di trasporto del Politecnico di Torino mette l’intera vicenda su un altro piano. «Di fronte a certi eventi non c’è limite alla protezione – sostiene –. Però se penso a quello che è successo a Rovezzano come all’ultimo attacco al cantiere della Torino-Lione ritengo che questi problemi vadano affrontati in un altro modo. Visto che anche a livello accademico sull’alta velocità siamo di fronte a posizioni molto contrapposte, l’unica via è il dialogo. Siamo di fronte ad un evidente attacco al sistema di trasporto: bisogna abbassare il livello dello scontro. Altrimenti non se ne esce e si finisce solo col rallentare l’Italia». —