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 2019  luglio 23 Martedì calendario

Ritratto di Alaphilippe

NîMES – Gli alberghi dove riposano, per modo di dire, Alaphilippe e Pinot, nuovi e in periferia, si riconoscono dalla folla che c’è fuori. Un po’ di più per Pinot, in fase crescente, un po’ di meno per Alaphilippe, in fase leggermente calante. L’elogio migliore gli viene da un avversario, Dave Brailsford, il guru dell’Ineos: «Gli attacchi di Alaphilippe hanno avuto un effetto-domino, hanno cambiato il modo di correre. È un Tour del tutto diverso dai precedenti. Se Alaphilippe riesce a vincerlo diventerà uno dei più grandi corridori di tutti i tempi». Mi piacerebbe assai, ma non credo. Come molti incendiari, in senso ciclistico e buono, Alaphilippe rischia di bruciare non solo le energie che gli rimangono, ma quel che si porta dentro e non vuole chiamare sogno. «Mi hanno detto che l’anno scorso ho corso un Tour eccezionale, maglia a pois e due belle vittorie di tappa. Due belle anche quest’anno ma è diverso il colore della maglia. Ogni giorno che ci avvicina a Parigi vivo un’emozione più forte. Per due giorni ancora sarò in giallo. Poi dovrò difendermi e lo farò con tutte le forze, sapendo che l’Ineos ha due punte forti e che Pinot è in una forma eccezionale». Ero curioso di sapere com’è Alaphilippe nel quotidiano. Per questo sono andato a trovare Davide Bramati, bergamasco di Vaprio d’Adda, 51 anni, la stessa faccia pulita di quando correva: 17 anni da professionista, 6 vittorie di cui una sola in Italia (al Giro del Trentino). Le altre in Spagna, 3, Portogallo e Polonia. Passistone e buon gregario di Tonkov e Bettini. Alla Mapei- Quick Step aveva Patrick Lefevere come ds. «Ho smesso nel 2006 e mi hanno proposto di fare il ds, ho accettato. Questo è davvero un gruppo unito, come ds ci sono anche Steels e Peeters, abbiamo corso insieme, ci si capisce al volo. Alaphilippe ce lo aveva segnalato un meccanico delle sue parti prima ancora che vincesse l’argento al Mondiale di ciclocross Under 23. Si capiva subito che aveva un gran talento, voleva sempre essere protagonista, a volte sbagliava i tempi. C’ero quando vinse la prima corsa da pro, al Tour de l’Ain. Alla sua maniera: scatto sull’ultima salitella e buonasera. Il gusto dell’attacco l’ha sempre avuto. Ricordo una tappa del Tour, lui e Tony Martin in fuga per 200 km, il gruppo li raggiunse alla periferia di Berna». Ve lo aspettavate così competitivo? «No, è una sorpresa per tutti, anche per lui. Quest’anno l’ho seguito quasi ovunque, tranne Amstel, Liegi-Bastogne-Liegi, Freccia e Delfinato. Ero in Argentina, in Colombia, nei Paesi Baschi. Puntavamo su di lui, certo. La tappa di Épernay l’avevamo vista con tutta la squadra prima di partire da Bruxelles. E la cronosquadre l’abbiamo corsa a tutta proprio in previsione di maglia gialla ad Épernay. Ma il resto, Pau e il Tourmalet, è tutto una sorpresa che non è finita, anche se adesso si fa dura, sulle Alpi. Julian ha raggiunto la maturità piena, fisica e mentale. Ha imparato dagli errori del passato. Ed è rimasto umile, con i compagni ha un ottimo rapporto, l’avete visto tirare la volata a Viviani. Che secondo me vincerà sui Campi Elisi, ma anche a Nîmes l’occasione c’è. Julian è il disc- jockey della squadra, è lui che sceglie le musiche da trasmettere sul pullman, e se gli capita una batteria tra le mani sa suonarla bene. È un generoso, e questo non guasta mai. In tutti questi giorni fuori dagli alberghi per lui c’era la fila e lui si fermava a firmare taccuini, a fare foto coi bambini, gli anziani, quelli in carrozzina. Non lo fa per dovere, ma perché gli piace farlo. Tanti tirerebbero dritto dicendo che devono riposare, recuperare. Lui no». In carrozzina dopo due infarti si muove anche suo padre, Jacques detto Jojo. Suonatore di notorietà locale, massimo vanto aver aperto un concerto di Johnny Hallyday. Il figlio studia musica, ma non sopporta il solfeggio («peggio che andare a scuola»), prende un diploma da meccanico per cicli e motocicli. Il padrone dell’officina non gli fa sconti, anche se la domenica ha corso all’estero con la nazionale il lunedì mattina dev’essere al lavoro e terminare alle 19. Poi si allenava, alla luce dei fari dell’auto di suo padre. Vacanze in campeggio sul lago di Goule, creato artificialmente nell’800 a una sessantina di km da Montluçon. «Avevamo tutto, non c’era bisogno di andare al mare». O costava di più. A Montluçon il primo sport è il rugby. Julian ci aveva provato da bambino, ma era troppo esile. Alla bici arriva su consiglio dello zio Franck, che è ancora suo consigliere tecnico. Il padre voleva incanalare le energie di due ragazzini iperattivi (Julian e Bryan, il minore). «Eravamo gli scemi del paese, sempre in giro a fare acrobazie in bici», dice la maglia gialla. Prima bici di seconda mano, la usavano in due. Ad Albi i suoi genitori sono arrivati senza avvisarlo e senza avvisare nessuno, per non rovinare la sorpresa. È stato Bramati a riconoscerli e a farli entrare in albergo, dal figlio. Può vincere il Tour? Secondo me l’ha già vinto.