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 2019  luglio 22 Lunedì calendario

Miriam Leone: mi piace fare la bad girl

 Miriam Leone è nata a Catania.
In prima fila siedono i genitori, così, quando arriva la domanda su come abbiano accolto in famiglia la sua decisione di fare l’attrice, per una volta, è impossibile barare: «No, a dire la verità, non immaginavano proprio che avrei preso questa strada. E non è stato neanche tanto facile fargli accettare la scelta». Sorrisi incrociati, poi Miriam Leone, nata a Catania nell’85, va avanti, diretta, disponibile, nello stesso modo con cui, girando per le stradine di Ortigia, saluta i fan, si mette in posa per i selfie, evoca ricordi, riconosce nomi e luoghi. Nell’ambito del Film Festival diretto da Lisa Romano e Paola Poli, è stato presentato in concorso L’amore a domicilio di Emiliano Corapi, la commedia agrodolce in cui recita nel ruolo di una rapinatrice condannata agli arresti domiciliari che, per rendersi la pena più lieve, decide di sedurre il pavido Renato (Simone Liberati). Insomma, una «bad girl», come quelle che spesso le capita di interpretare, a dispetto della bellezza celestiale, quasi botticelliana: «Come vedete sono una ragazza con un abito a fiori – scherza -...però è vero, sulla scena non mi piace fare il verso a me stessa, cerco sempre di costruire psicologie diverse, penso che questo sia il vero gioco dell’attore». Non è un caso se, nella prossima, attesissima, prova, la vedremo inguainata nella tuta di lattice nero di Eva Kant, pericolosa compagna del geniale e malefico Diabolik, nel film dei fratelli Manetti, con Luca Marinelli nei panni del protagonista: «Non posso dire nulla. Devo ancora fare la prima posa sul set, solo dopo potrò parlarne. Aspetto sempre il momento giusto per fare le cose, non amo accelerare i tempi. Per me essere attrice significa avere la possibilità di raccontare storie, provando a empatizzare anche con le figure negative, contro cui tutti sono pronti a puntare il dito».
La voglia di esibirsi si è manifestata presto, fin dai tempi in cui, racconta Leone, «trasformavo in “red carpet” il tappetino sotto il lavello della cucina». Una «passione conclamata», dice l’attrice, legata anche a quella per le stoffe e gli abiti, che riguarda da vicino le sue origini: «Vengo da una famiglia di sarte e ricamatrici». La bellezza, certo, ha aiutato molto, ma non è mai stata in cima ai pensieri di Miriam Leone ragazzina: «Nella mia formazione non ha avuto alcun peso, poi, certo, ho vinto Miss Italia e ho ritenuto che allora qualcosa poteva succedere. All’università di Catania ero una normale studentessa di Lettere, il cinema mi sembrava lontanissimo».
Adesso, invece, è pane quotidiano, con i pregi e i difetti: «Non mi sono mai posta il problema della celebrità, forse perchè non sempre mi riconoscono per strada e, comunque, mi è capitato ogni volta di avere a che fare con un pubblico educato, rispettoso, che mi ha sempre trattato come una di famiglia». Nessuna ansia da eccesso di fotografi. Anzi: «I “photocall” sono emozionanti, ti senti chiamare per nome da un sacco di persone, capisci che, per loro, quell’attimo è importante». Quanto agli scatti dei fan, un’unica raccomandazione: «Quando sto mangiando, magari aspettate un attimo prima di chiedermi una foto». Nelle classifiche dei follower di gente famosa Leone primeggia, ne ha tantissimi, e con i social il rapporto è intenso: «Uso Instagram perchè si basa sulle immagini e mi piace condividere la mia attrazione per la moda, per i costumi. È una maniera per raccontare una parte di me stessa, naturalmente solo quella che io ho scelto di rendere pubblica».
Il quadro complessivo farebbe pensare a ragazza che non ha paura di niente e invece, a sorpresa, Miriam si definisce «timida estroversa. Sono curiosa, e insieme riservata, sono fatta così, forse anche per via degli insegnamenti familiari». Da quelle radici salde deve venire anche la fermezza con cui Leone, firmataria del manifesto «Dissensocomune», affronta la questione «MeToo», «un problema che non riguarda solo le attrici e neanche solo le donne. Per questo, quando mi hanno chiesto la firma, ho subito detto che mi sarebbe piaciuto vedere anche adesioni di uomini. Bisogna estendere la protesta ad altri ambiti professionali, compresi quelli maschili. In fondo tutti gli uomini hanno avuto una madre».