Anteprima, 18 luglio 2019
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Biografia di Beppe Merlo
Beppe Merlo (1927-2019). Tennista. Inventore del rovescio a due mani. Figlio del custode del Circolo Tennis Merano, cominciò la carriera quando si trasferì a Bologna subito dopo la Guerra. Due volte semifinalista a Parigi, due volte finalista a Roma, quattro volte campione d’Italia. «È morto un mio amico, Beppe Merlo, che perse sommerso dai crampi, dopo aver avuto due match point e mentre era avanti 2 set a 1, la finale degli Internazionali d’Italia 1955 contro Gardini, tennista implacabile che ne invocò il ritiro, sul 6-6 al 4°, mentre Beppe giaceva sul Centrale del Foro Italico. Quell’anno, e in quello seguente, fu anche semifinalista a Parigi. Nel Dopoguerra, da Merano trovò asilo a Bologna, terra dei Conti Sassoli e di Giorgio Neri, benemerito presidente federale. Inventò, perché i pionieri furono gli australiani Vivian McGrath e John Bromwich, un suo rovescio bimane, mai visto in Europa, del quale ho sempre avuto una mia idea, incontrastata dallo stesso esecutore. Beppe era mancino e, di fronte a un racchettone di 15 once, non poté non reggerlo, a metà manico, con la destra: divenne il suo colpo più importante. Vidi i grandi del tempo attaccare quel suo insolito rovescio, e venirne quasi sempre passati. La battuta era tanto femminea da essere ancor più attaccabile, ma Beppe l’aveva resa difficilissima per il rimbalzo molto basso, svuotato di forza. Giocammo insieme un solo torneo di doppio, e non lo vincemmo per la finale ostacolata dalla pioggia. Lo ricordo non certo per vantarmene, ma perché Beppe mi disse: “Tu copri i 2/5 di campo a destra, io mi occuperò dei 3/5 a sinistra, con il rovescio”. Beppe fu anche noto come malato immaginario. Aveva sempre con sé una valigetta piena zeppa di medicine, soprattutto contro i crampi, dei quali, corridore instancabile, era spesso vittima. Incapace di abbandonare il gioco, era abituale spettatore dei tornei, e chiedeva a tutti come mai la federazione non gli avesse riservato il ruolo di allenatore che avrebbe meritato. Credo sia morto con un simile dubbio nel cuore, povero Beppe» [Clerici, Rep].