il Fatto Quotidiano, 22 luglio 2019
Intervista a Enrico Mentana
La bottega dell’antiquario. Non è Charles Dickens a parlare, ma Enrico Mentana. Il direttore del Tg La7, tra i protagonisti del mainstream, descrive i ninnoli lussuosi dell’anticaglia chiamata Novecento. Eccoli. Tutta la sinistra possibile, l’élite e la stessa informazione che ogni giorno racconta a se stessa un’Italia che non esiste: “E così anche il mondo, che è soltanto una grande Italia”.
Nell’epoca dell’e-commerce, dunque, incombe l’antiquario.
Un negozio bellissimo dove i giovani non entrano; e dove – pur danarosi i clienti sono sempre più pochi e comunque presenti all’appello dell’antiquario solo per tramite dei necrologi.
Necrologi?
O sondaggi che dir si voglia, le due poetiche si sovrappongono ormai; provocano la stessa voluttà di lettura.
Cominciamo bene.
Il Pd, l’erede di un doppio lascito, quello del Pci e della Dc, è la maturazione di quel che fu l’Arco costituzionale nella fondazione della Repubblica; è oggi il grande partito della sinistra ma come il grande romanziere si accorge di essere sparito dalle librerie così il Pd – che è il partito della politica – ha capito di non essere presente nei quartieri popolari e strilla: dobbiamo tornare nelle periferie.
Le librerie ormai sono cimiteri, ma le periferie sono ben vive.
Nei talk, infatti – io che pure sono un novecentesco – troverò modo di ripetere quello che dico qui: nella situazione in cui ci troviamo a vivere Matteo Salvini è Maradona.
Quella dell’informazione è il Sotheby’s delle idee più collezionabili.
Per una clientela esclusiva.
L’establishment.
Le leggi non le fanno i ministri ma i burocrati, si sa, e tutta la grande burocrazia cresciuta nell’alveo della Repubblica….
Il deep state, per dirla col linguaggio di Sotheby’s.
…O si adegua o sparisce, come accadde al ceto dirigente dell’Ottocento quando dovette cedere il passo ai tempi nuovi; una transizione come questa non è propriamente quella di 80 anni fa, quando le diverse forze politiche – col superamento della dittatura – si confrontavano per il bene comune mentre oggi, con lo svuotamento delle idee politiche, è solo un sistema per cui chi vince governa e chi perde aspetta e rosica.
I giornali, l’informazione. Ai tempi di Silvio Berlusconi c’erano almeno due campane, la sua e quella di tutti gli altri contro di lui.
C’è solo da preservare la riserva indiana; e c’è un solo progetto industriale: tenersi quei telespettatori e quei lettori – e questi, poi, sono sempre meno… – e alimentare in loro la nostalgia, quella stessa che alimenta la fornace della grande stampa.
Finché dura.
La visione orizzontale dei social ha piallato l’esigenza rappresentativa e ci si divide tra presentisti e nostalgici.
Quest’ultimi sono la destra, gli altri sono la sinistra.
Proprio no, i nostalgici sono quelli dei partiti, il Novecento che se ne va si porta nella tomba la politica.
Caro lei, quando c’era Lui.
Quando c’ero io, piuttosto, come Matteo Renzi che adotta come suo unico stilema l’esserci stato lui, al governo, nel Pd finché gli è durato, giusto lui che per l’Italia è stato come una bella moldava per un anziano: tre anni di pazza giostra e poi, d’un colpo, l’inferno dell’abbandono….
Ma la politica comunque non è un prodotto del Novecento.
La mobilitazione delle masse, sì; il secolo delle ideologie è il Novecento mentre l’esaurirsi della memoria – oggi – agevola l’emergere degli interessi primari, quelli che portano al crollo della sovrastruttura per precipitarci nell’odio, nei nazionalismi: il caso Iugoslavia fa testo.
L’epoca compiuta della tecnica conferma, anche per via della rete web, la mobilitazione totale di queste masse.
Dove però un Salvini, non è un Benito Mussolini, non è – insomma – un ideologo, anzi: è a-ideologico; il Duce prende il proprio Psi e ne fa una cosa nuova….
Restando intimamente socialista, comunque e sempre…
Anche il leader della Lega fa del Carroccio di Umberto Bossi un soggetto a sua immagine e somiglianza – è vero – solo che un dato inedito ci impone un altro schema: il sorpasso delle pulsioni sulle passioni.
Una forma di dongiovannismo applicato alle dinamiche elettorali?
La morte delle passioni, questo è il vero dato; quel Mussolini di cui parliamo si muove dentro il recinto della politica, ovvero l’arte suprema del Novecento che offre alle masse la prospettiva di un futuro: siano essi i suoi Colli Fatali o – per i comunisti – il Sol dell’Avvenire, mentre Salvini, con le pulsioni di oggi, è costretto al presentismo.
I Colli Fatali sono stati sconfitti dalla storia.
Appunto, sì, cancellati, ma qualcuno oggi sta indicando un qualunque Sol dell’Avvenire? La mia è la generazione dell’uomo sulla Luna, tutta la nostra storia di ieri si è costruita nel sogno di un cambiamento: una società da cambiare, i diritti da acquisire, una dittatura da abbattere, il muro di Berlino che non c’è più; tutte le ideologie si sono attuate: l’economia di mercato e la democrazia anche Vladimir Putin deve farle proprie; e il sogno, dunque, è dietro le spalle.
Il tono lascia dedurre in lei un’affezione nostalgica, sento di averla punto sul vivo.
Caro lei, quando c’era Lui, messer Novecento….