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 2019  luglio 22 Lunedì calendario

Una trasfusione ai robot per renderli più umani

Un patto di sangue tra uomo e robot. Sangue artificiale, ma poco importa. Dagli Stati Uniti arriva la notizia di un pesce-automa (un «pescioide»?) dotato di un sistema vascolare che serva ad alimentarlo, svolgendo più o meno la stessa funzione che il sangue svolge per noi esseri viventi.
Sta accadendo. Uomo e robot camminano a larghi passi l’uno verso l’altro. E decidete voi se trattasi di buona o di cattiva notizia. Fatto sta che dopo lo sproloquio in cui qualche giorno fa il «grande visionario» (o gran furbone?) Elon Musk ha spiegato come la sua società Neurolink Corporation stia lavorando al progetto di inserimento nel nostro cervello di alcuni nano-filamenti che attraverso un sensore ci permetteranno un giorno forse non lontano di comandare con il solo pensiero personale computer e altri dispositivi, creando una sorta di intelligenza artificiale vagamente inquietante; e mentre lo scienziato giapponese Hiroshi Ishiguro, direttore del laboratorio di intelligenza artificiale dell’università di Osaka nonché secondo il Daily Telegraph 26° tra i cento maggiori geni viventi, prova il discutibile brivido di spupazzarsi Geminoid, un umanoide che è l’esatta copia di se stesso con il corpo in schiuma di uretano, la pelle in silicone e i capelli prelevati dalla sua stessa tesa (il nostro umanoide non avrebbe di questi problemi); mentre tutto questo accade ecco che dagli Stati Uniti, dalla Cornell University di Ithaca (New York) arriva la notizia che un pesce robot sguazza allegro nell’acquario di un laboratorio grazie a un sistema vascolare artificiale in grado di pompare energia ai transistor con un liquido a base di zinco e ionio che funge da elettrolita in grado di scatenare reazioni chimiche che alimentano l’elettronica del pescetto e il sistema di pompe che fa muovere le pinne e quindi il robot acquatico. La «vascolarizzazione» artificiale indurrebbe nel pesce, a cui gli scienziati americani hanno dato la vezzosa forma di un pesce leone, con una criniera che ricorda le dita di una mano, una discreta vitalità e la capacità di compiere operazioni anche complesse per una più lunga durata, che secondo gli scienziati della Cornell University potrebbe arrivare a 36 ore. L’importanza della scoperta sta nel fatto che fino a ieri i robot potevano avere soltanto dimensioni ridotte a causa dell’impossibilità di installare molte batterie, ciò che aumenterebbe il peso e diminuirebbe l’efficienza e quindi compiere un’unica semplice operazione. Una specie di circolo vizioso dell’efficienza che ora il sangue artificiale potrebbe spezzare rendendo i robot più leggeri e quindi efficienti, autonomi e multifunzionali. «In natura – spiega alla rivista scientifica Nature il professor Rob Shepherd, ingegnere aerospaziale e meccanico – vediamo organismi in grado di sostenere operazioni sofisticate che prevedono molto tempo. Il nostro obiettivo è consentire anche ai robot un’autonomia sufficiente».
Il «sangue robotico» è circolato nei circuiti di un «pesce leone», costruito in laboratorio, che ha nuotato a lungo in una piscina, restando sempre sott’acqua, come un esemplare vero. Il prossimo passo, seppure non immediato, sarà probabilmente utilizzare il sangue robot per alimentare anche gli umanoidi. Un passo che ci avvicinerebbe ancora di più al traguardo finale, quello immaginato da scrittori e utopisti: l’androide dal volto umano e con il sangue che scorre lungo i circuiti interni.
Paura? Noi un po’. Diciamo che ci si è raggelato il sangue. Quello vero.