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 2019  luglio 22 Lunedì calendario

Non solo dilettanti, sportivi in cerca di tutele

La cavalcata delle azzurre ai mondiali di calcio femminile in Francia, con il suo seguito mediatico, ha riportato il tema in primo piano. Ma nello sport i riflettori sullo iato tra professionismo e no vengono accesi anche dalle ripetute cronache sui club calcistici (maschili) che non riescono più a iscriversi ai campionati “maggiori”, come da ultimo raccontano i casi di Palermo e Foggia: entrambi, dopo aver disputato la scorsa stagione in serie B, passano ora al dilettantismo. Un territorio in cui cambiano discipline retributive, previdenziali, assicurative: perché gli atleti non sono tutti uguali. Né sono uguali agli altri lavoratori, visto che anche gli sportivi professionisti possono lamentare l’assenza di pari tutele: dagli ammortizzatori sociali al Fondo di garanzia del Tfr (si veda l’articolo in basso).
La speranza di una nuova disciplina
Il disegno di legge sull’ordinamento sportivo – collegato alla legge di Bilancio 2019 – è l’occasione per superare alcune discrasie di trattamento. Il Ddl, approvato in prima lettura alla Camera e ora all’esame del Senato(A.S. 1372), all’articolo 5 contiene infatti un’ampia delega al Governo «per il riordino e la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché del rapporto di lavoro sportivo». Il compito è anche quello di individuare la figura del lavoratore sportivo, senza distinzioni di genere e indipendentemente dalla natura dell’attività, e definirne le opportune tutele assicurative, previdenziali e fiscali. 
Tra le 44 federazioni sportive riconosciute dal Coni solo quattro possono annoverare settori professionistici: Figc per il calcio (dalla serie A alla Lega pro maschile), Fip per la pallacanestro (A1 maschile), Fci per il ciclismo (gare maschili su strada e su pista approvate dalla Lega ciclismo), Fig per il golf. Mentre motociclismo e pugilato hanno chiuso i propri settori nel 2011 e nel 2013.
Gli sportivi fuori da queste categorie sono quindi da considerare giuridicamente «dilettanti», pur se praticano attività ad alto livello, dal tennis alla pallavolo. Per tacere della trasversale discriminazione di genere nei confronti delle donne. Lo status, insomma, non dipende (solo) dalle qualità dell’atleta. Né basta a offrire garanzie “complete”.
Oltre i super vip del calcio
Il 90% dei professionisti è oggi composto da calciatori. Ma al mondo dorato dei Cristiano Ronaldo, e dei pochi giocatori con ingaggi a sette cifre, fa da contraltare un nutrito popolo di sportivi in cerca di tutele. La maggior parte dei calciatori professionisti appartiene infatti alla serie C (Lega pro) che conta 60 squadre e che, leggendo i recenti dati diffusi dall’Assocalciatori (Aic), mostra una situazione critica: lo stipendio medio dei giocatori, infatti, supera di poco i 2.500 euro netti al mese, e un’ampia fascia di loro non va oltre il minimo retributivo di circa 1.500. Il tutto in un contesto di pagamenti in ritardo, precariato per definizione (contratti che spesso non superano una stagione), fallimenti continui (emblematico il caso della Lucchese con tre bancarotte in 11 anni), e in cui non vi sono certezze neanche per le altre figure quali allenatori, collaboratori, magazzinieri e così via. Per questo la stessa Aic da qualche anno si è fatta promotrice di corsi in e post carriera, per lo sviluppo di percorsi di reinserimento professionale (il 97% dei giocatori dichiara di voler rimanere nel mondo del calcio a fine carriera, ma ci riesce solo uno su cinque). Dunque, il fine del nuovo Ddl (ampliare le tutele dei lavoratori) è nobile ma molto delicato. Non solo perché dall’attuazione della delega «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Ma anche perché già oggi sono evidenti le difficoltà di un sistema che non riesce a reggere le tutele concepite. Motivo per cui – per restare al calcio – il presidente della Figc, Gabriele Gravina, sostiene la necessità del semiprofessionismo in serie C (oltre a una serie di sgravi fiscali), per non sottrarre garanzie ma ridurre il costo del lavoro che oggi pesa dal 75 al 90% dei ricavi.