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 2019  luglio 22 Lunedì calendario

I veri numeri dei rimpatri flop

Rimpatriamo albanesi, innanzitutto. Ed è una sorpresa scoprire non solo che i rimpatri di migranti irregolari sono in calo rispetto all’anno scorso, ma soprattutto che riguardano solo in parte chi arriva via mare. «Per la prima volta i rimpatri sono più degli sbarchi», uno dei ritornelli del ministro dell’Interno Salvini in questi mesi. Non è vero. Fermando pure a 3.000 gli arrivi da gennaio a giugno sulla rotta mediterranea, di irregolari rimpatriati il monitoraggio volo per volo del Garante dei detenuti Mauro Palma – stando alla relazione depositata nei giorni scorsi in commissione Affari costituzionali alla Camera – ne ha contati 2.839. E tra questi i più numerosi (680, cioè uno su quattro) sono albanesi. Non certo arrivati su barchini e men che mai su navi umanitarie.
Di quei migranti lì, di quegli «Espulsi!» col punto esclamativo di cui i social salviniani danno ogni giorno notizia, ne rimandiamo a casa molti meno di quanti dovremmo, stando alle promesse elettorali del leader leghista (ne aveva promessi 600 mila). Ma anche molti meno di quanti potremmo, stando agli accordi con i Paesi d’origine. Che pochi erano e pochi sono visto che, in più di un anno al Viminale, Salvini non ne ha siglato neanche uno nuovo e delle sue missioni in Africa non si è più saputo nulla.
L’unico che, in qualche modo, funziona è l’accordo con la Tunisia che, come l’anno scorso, è il Paese da cui arriva la maggioranza dei migranti che entrano in Italia via mare. Quasi tutti migranti economici, quasi tutti senza diritto all’asilo. Sono i più numerosi, e anche quelli che più facilmente potremmo rispedire indietro, visto che i patti esistenti prevedono due voli charter a settimana da 40 persone ciascuno. Fatto un rapido calcolo, al ritmo di 80 a settimana, fino a metà giugno avremmo potuto rimpatriare più di 1.900 tunisini irregolari. Invece ci siamo fermati a 510, con soli 17 voli sui 48 previsti. Pochi giorni fa il vicepremier, messo in imbarazzo dal gran numero di barchini e barconi provenienti dalla Tunisia che entrano indisturbati nell’Italia dei porti chiusi, ha chiesto al presidente tunisino di aumentare il numero di rimpatri concordato, utilizzando anche le navi commerciali che due volte a settimana fanno la spola dalla Sicilia. La risposta è stata la stessa che in passato: «Ma se non riuscite neanche a riempire i voli concordati, perché prevedere rimpatri ulteriori mescolando i migranti a viaggiatori e turisti?». Il che, evidentemente, richiederebbe una scorta internazionale adeguata.
Proprio questo, utilizzo di personale e costi spropositati, è l’altro punto dolente. Sui 26 voli charter effettuati nel 2019 verso Tunisia, Nigeria, Egitto e Gambia sono saliti 566 migranti scortati da 1.866 poliziotti, uno a tre. Gli altri, diretti in Albania, Tunisia, Marocco, Egitto e Nigeria, sono stati espulsi su voli commerciali. Anche scorrendo la lista dei 6.398 irregolari rimpatriati nel 2018 ( in ribasso rispetto ai 6.514 del 2017), balza agli occhi che circa un terzo del totale sono stati rispediti in Paesi d’origine ben diversi da quelli che la narrazione salviniana collega a una presunta “invasione”: ai primi posti ancora Albania, poi Ucraina, Perù, Georgia, Moldavia, Brasile, Cina, tutti i paesi sudamericani e persino Stati Uniti, Svizzera e Singapore.
La media, si diceva, è di 500 persone al mese: se confermata, porterà a fine anno a un totale intorno ai 6.000. A conferma, se ce ne fosse bisogno, che gli oltre 40.000 nuovi irregolari creati dal Decreto sicurezza con l’80% di richieste d’asilo respinte sono andati a ingrossare l’esercito dei fantasmi che vagano nelle periferie. E di nessuna efficacia si è rivelato finora l’aumento dei tempi di trattenimento dei migranti da espellere nei Centri di rimpatrio. Più della metà, dopo 6 mesi di detenzione, vengono lasciati liberi con un foglio di via che nessuno rispetta. Osserva Palma: «A colpire è la mancanza di correlazione tra durata della permanenza nei centri e effettività del rimpatrio. La media dei rimpatri di persone detenute realmente eseguiti ha sempre oscillato attorno al 50%. Più della metà di chi vi ha passato periodi spesso lunghi, in situazioni precarie e senza tutele, è stata privata della libertà inutilmente e, aggiungo, illegittimamente. Solo un po’ di sofferenza inflitta, quasi un avvertimento. Per le donne peggio: l’anno scorso, solo il 13% di quelle ristrette è stato effettivamente rimpatriato».