Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  luglio 22 Lunedì calendario

Leggi e cavilli ci portano via 269 ore l’anno

Piazza Venezia, Roma. «Scusi, signor vigile, le segnalo che le strisce pedonali sono ormai invisibili, cancellate dal traffico. Attraversare è un pericolo…», fa un signore sulla cinquantina. Pronta la risposta: «Può fare una segnalazione al Comune». Troppo buono. Per quanto qualche dubbio possa sorgere, non è la scena di una commedia di Eugéne Ionesco, bensì la realtà. Per segnalare che le strisce pedonali sono scomparse sotto gli occhi del vigile pagato per vigilare e al quale la cosa è stata verbalmente invano segnalata, c’è solo un modo: entrare nel sito comunale dov’è attivo il “Sistema unico di segnalazione” che «innova, sostituisce e integra tra loro i precedenti sistemi: IoSegnalo e il Sistema Gestione Reclami (SGR)». Possibile accedere solo tramite identificativo e password reperibile con il codice fiscale. Per inciso, le strisce pedonali poi le hanno rifatte, ma non ci voleva certo una segnalazione… 


Il deputato e la rock band
L’episodio svela però l’intima essenza dell’Apparato, che riesce diabolicamente a trasformare perfino Internet in una nuova e inedita barriera. C’è sicuramente una ragione per cui è richiesto l’identificativo e la password: risparmiare agli uffici segnalazioni inutili(e magari insulti), supponiamo. Nessuna ragione, invece, è plausibile per la risposta ricevuta da quel signore. È così e basta. Il gioco è arcinoto: evitare di assumersi le responsabilità, e quando possibile ribaltarle sul cittadino. Sempre e comunque. Quando poi la burocrazia sembra operare a fin di bene, allora sono dolori.
Formidabile il caso del provvedimento sul cosiddetto “secondary ticketing” ispirato dal deputato grillino Sergio Battelli, ex commesso e componente della rock band “Red Lips”. Per contrastare la speculazione sui biglietti dei concerti da parte di siti che ne facevano incetta per poi rivenderli a prezzi stratosferici si è deciso di introdurre il ticket nominativo per gli eventi con oltre 5 mila spettatori.
Come allo stadio. Biglietti con nome e cognome, che non si possono nemmeno regalare a un familiare o a un amico se quel giorno il titolare ha un impedimento improvviso. Ma soprattutto immaginate il delirio per entrare a un concerto dei Rolling Stones o di Vasco Rossi. Non si poteva risolvere il problema semplicemente chiudendo quei siti, come si è fatto in alcuni Paesi che avevano lo stesso problema? Troppo facile… Benvenuti nel Paese delle complicazioni, dove non c’è governo che non abbia sventolato sotto il naso degli elettori la promessa di una qualche magia per rendergli la vita più agevole. Che si risolve quasi sempre versando altra sabbia negli ingranaggi: una nuova legge che si aggiunge alle altre.
I rapporti con il fisco “amico”, per esempio. Sarebbe ingeneroso non riconoscere che qualche passo avanti è stato fatto, come il modello 730 precompilato. Peccato che alla Banca mondiale non se ne siano accorti: su 190 Paesi, nella classifica 2019 di Doing business l’Italia occupa la posizione numero 118. In un solo anno abbiamo subito uno scivolone di ben sei caselle. Eravamo faticosamente risaliti dal deplorevole abisso del posto 141 occupato nel 2015 fino alla casella 112 del 2018, e poi un nuovo capitombolo che ci ha riportato indietro di 12 anni. Ossia al 2001, quando non andavamo oltre il numero 117.


Il digitale sconosciuto
La sensazione che sia una perenne lotta contro i mulini a vento è confermata da un’analisi puntuale dell’ufficio studi della Confartigianato diretto da Enrico Quintavalle, secondo cui nemmeno «la crescente digitalizzazione dei processi» riesce a limitare una «complessità burocratica» che inesorabilmente «tende a salire». La prova sta nel numero di famiglie che per gli adempimenti fiscali si rivolgono al commercialista o a un altro soggetto a pagamento: «Dopo aver oscillato attorno al 45 per cento fino al 2010, negli ultimi anni è cresciuta toccando nel 2018 il massimo del 55,3 per cento». Gli esperti spiegano che non sono estranee al fenomeno ragioni anagrafiche, né una certa diffidenza, talvolta forse non del tutto motivata. Del resto, è sempre il documento della Confartigianato a sottolineare come in base ai dati della Commissione europea l’Italia sia ancora uno dei Paesi dove l’utilizzo di Internet nei rapporti con le pubbliche amministrazioni è fra i più modesti in assoluto. La quota di persone occupate di età compresa fra 16 e 64 anni che hanno utilizzato questo canale non ha raggiunto nel 2018 neppure il 20 per cento (19,6). Davanti solo a Bulgaria (13,8) e Romania (6,1).
Le responsabilità? Il basso livello degli investimenti pubblici nelle nuove tecnologie, per dirne una. I dati di contabilità nazionale dicono che nel periodo compreso fra il 2012 e il 2017 sono calati del 23,2 per cento mentre nel settore privato salivano del 14,2 per cento.
Ma pure l’età media dei dipendenti pubblici: risulta la più elevata dell’Unione europea, con il 33,1 per cento della forza lavoro che ha almeno 55 anni. Oltre dieci punti più della media europea, pari al 22,7 per cento, per la gloria dell’analfabetismo digitale. Anche perché quando hanno messo mano a quella piaga, hanno creato forse ancora più problemi. Da tre anni per legge società e professionisti iscritti agli ordini devono avere la posta elettronica certificata per ricevere le notifiche del fisco. Tuttavia le cause più disparate fanno sì che circa 2 milioni di notifiche via pec non vadano a buon fine. La conseguenza?


Inferno virtuale
L’ex Equitalia comunica per lettera che l’atto è depositato presso il servizio telematico della Camera di commercio della relativa provincia. A cui si accede con lo Spid o “Sistema pubblico di identità digitale”, una specie di complicato “pin” rilasciato da alcuni provider privati, oppure con la Cns, che sta per “Carta nazionale dei servizi”. Un altro marchingegno informatico che ha bisogno di lettore, decoder, software abilitato, etc… Un mezzo inferno virtuale, anziché di carta. Ma è la sola palpabile differenza. Poi c’è la complessità, assolutamente folle, delle norme. Un guazzabuglio sterminato e incoerente, come dimostra l’assurdità in cui precipita chiunque voglia pagare le imposte iscritte a ruolo rateizzandole e si vede applicare un tasso d’interesse addirittura più alto di quello di mora, cioè il tasso che grava su chi le imposte decide di non pagarle proprio.


Lo strabismo del tasso
Il motivo? Semplicissimo: le misure sono fissate da due leggi diverse. Strabismo che nessuno ha mai pensato di eliminare. L’interesse di dilazione è stabilito da un decreto ministeriale del 21 maggio 2009, che non prevede adeguamento annuale. Quello di mora lo fissa invece l’Agenzia delle entrate sulla base della media dei tassi bancari dell’ultimo anno.
Per non parlare del numero impressionante di scadenze e adempimenti, tanto da assorbire mediamente 269 ore l’anno contro una media europea di 173: più 55,5 per cento. E dei trabocchetti disseminati ovunque. Lo sa bene chi si è ritrovato l’auto, involontariamente o coscientemente, bloccata dal cosiddetto fermo amministrativo. Perché per liberare la macchina o la moto dalle ganasce fiscali non basta pagare il dovuto all’Agenzia delle entrate. Bisogna andare al Pubblico registro automobilistico con il documento di revoca del fermo rilasciato dal Fisco, e pagare la relativa tassa governativa.
Vi chiederete: ma non si può fare tutto insieme? Certo, ma solo per le auto che hanno il libretto digitale. A parte la follia di dover pagare un’altra gabella, il bello è che il Pra sarebbe stato abolito da una legge di quattro anni fa. Doveva essere fuso con la Motorizzazione civile in una nuova Agenzia del trasporto stradale. Ma dell’Agenzia nemmeno l’ombra, e il Pra continua placidamente a sopravvivere.
Un’altra legge felicemente inattuata, che va a ingrossare l’enorme montagna normativa di questo Paese patria del diritto (e della burocrazia). Sapete quanti sono gli atti legislativi tuttora in vigore emanati negli ultimi cento anni, dal 9 luglio 1919 al 9 luglio 2019? Normattiva, il portale del Poligrafico, ne conta 134.670.


Se lo yacht la fa franca
Sbaglia, però, chi considera le ganasce fiscali una forma brutale di vessazione: non si possono mettere ai mezzi destinati al lavoro. Ma regolarmente la fanno franca anche yacht, elicotteri, aerei privati: le società di comodo aiutano. Esito piuttosto curioso, per un fisco che disperatamente cerca da vent’anni di mostrare un volto umano. Riuscendoci meglio con gli evasori che con i contribuenti onesti, come testimoniano i circa 110 miliardi l’anno di evasione. E che non pago degli 80 condoni di ogni genere varati dall’Unità d’Italia, continua a condonare. Cambiando solo i nomi.
Così dopo lo scudo fiscale, ecco la “voluntary disclosure”. E dopo le sanatoria, ecco le rottamazioni prima, seconda e terza, e le paci fiscali: prima e seconda. Per ora. Senza escludere una ulteriore piccola dimostrazione di amicizia: la flat tax prima edizione per chi sta sotto i 65 mila euro l’anno. Quella che ci ha regalato già 411 mila partite Iva in più in un solo anno per consentire ad altrettanti contribuenti di inabissarsi nel felice mare del 15 per cento secco, mettendosi formalmente in proprio. Più partite Iva, meno soldi in cassa: un grande affare davvero.